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Argomento e limiti

La presente opera è dedicata alle piante vascolari d'Italia.

Il carattere dell'opera è eminentemente descrittivo e corrisponde allo scopo di offrire una caratterizzazione secondo criteri omogenei di tutti i vegetali superiori della flora italiana, in modo che chiunque sia interessato a sapere qualcosa sull'aspetto, la biologia, l'ecologia e la distribuzione di una qualsiasi pianta kaliana, possa trovare queste notizie senza difficoltà in un volume di facile consultazione. La flora è articolata in modo da permettere a chi si trovi di fronte ad una pianta a lui sconosciuta, di individuarne l'esatta denominazione scientifica, ammesso che egli sia in grado di usare correttamente il sistema integrato di chiavi analitiche che portano alle singole specie. Quest'opera è dunque concepita essenzialmente come uno strumento di lavoro, tanto per lo studioso della flora italiana, quanto per chi desidera divenire tale o per chi, partendo da campi differenti, sente la necessità di informarsi su questo argomento.

La limitazione alle piante vascolari segue una tradizione ormai più che centenaria della bibliografia floristica europea. In questa flora sono riportate solamente le Pteridofite. le Gimnosperme ed Angiosperme. cioè i vegetali superiori (caratterizzati dal possedere un tessuto vascolare ben differenziato), mentre ne vengono esclusi altri gruppi non meno ricchi di specie, quali i Funghi, le Alghe e le altre Tallofite. Questa esclusione è causata da vari motivi: il carattere specialistico dello studio delle Tallofite (che richiede conoscenze dettagliate sulla biologia e morfologia dei singoli gruppi e generalmente Fuso del microscopio), la virtuale impossibilità nelle ricerche di campagna di studiare con il medesimo approfondimento le piante vascolari e le Tallofite e soprattutto l'impossibilità per uno studioso singolo di abbracciare un tanto ampio campo di conoscenze. Resta solamente da auspicare, che nei prossimi anni vengano edite opere parallele, che completilo la descrizione dei vegetali crescenti in Italia.

I limiti geografici del lavoro sono in linea di principio i confini politici del territorio sottoposto alla sovranità italiana, quali risultano dal Trattato di Londra (1948). come conseguenza della seconda guerra mondiale, e dal successivo Memorandum d'intesa (1954). regolante lo status del territorio di Trieste(¹). Questi confini sono quelli ancora oggi (31 dicembre 1974) internazionalmente riconosciuti. Anche altre zone circostanti vengono prese in considerazione, per ovvi motivi di contiguità, accessibilità o per comunanza floristica, tuttavia l'autore si assume la garanzia di completezza (limitatamente alle conoscenze attualmente disponibili) solo per il territorio sopra indicato. Esso comprende dunque la Penisola Italiana, le grandi isole vicine (Sicilia e Sardegna) e le isole minori, tra le quali anche Pantelleria e le Pelagie. per le quali si potrebbe discutere se, dal punto di vista geografico, e biogeografico, esse non vadano piuttosto riferite all'Africa Settentrionale; verso Nord il confine è segnato in linea di principio dagli spartiacque delle Alpi Giulie e Carniche e successivamente dal crinale principale della catena alpina, con alcune importanti deviazioni nei due sensi soprattutto in corrispondenza al confine con la Svizzera.

Le specie biologiche ignorano i confini politici (che del resto negli ultimi secoli sono variati ripetutamente), quindi la delimitazione sopra delineata ha valore solamente formale. Avrebbe poco senso, che un cittadino di Trieste in una flora italiana trovasse le piante di terre lontane, come Pantelleria e Marettimo e non quelle del vicino Carso sloveno, oppure che un milanese non trovasse le piante del Canton Ticino, un ligure quelle della Costa Azzurra, solo perché questi territori sono sotto la sovranità di altri Stati. Le piante dei territori confinanti sono riportate, limitatamente a quelle presumibilmente interessanti per lo studioso italiano, con criteri analoghi a quelli usati dalle classiche Flore medioeuropee di Ascherson e Graebner e di Hegi oppure come «Cjrenzarten» nelle recenti Flore svizzere. Questa estensione dei confini floristici d'Italia è dunque dettata da motivi di carattere culturale (oltre che biogeografico) e c'è da augurarsi che, come nel caso delle opere sopra citate, essa possa favorire la comprensione reciproca e la collaborazione tra gli studiosi italiani e stranieri delle zone interessate. Qualsiasi movente revanscista o rivendicatorio è escluso: lo scrivente ritiene piuttosto che la divisione dell'Europa in stati nazionali, condizione ideale per l'incubazione dell'egosimo sciovinista, sia ormai superata dalla nuova realtà culturale, e che pertanto la stretta aderenza ai confini politici in un'opera scientifica sia del tutto anacronistica.

(¹) Durante la pubblicazione di questa Flora, attraverso il trattato di Osimo (1976) questi sono divenuti confini definitivi.

Oltre ai territori sotto sovranità italiana vengono ancora presi in considerazione:

  1. Le Isole Maltesi.
  2. La Corsica.
  3. La zona orientale del Nizzardo (Dept. Alpes-Maritimes), soprattutto le valli afferenti alla Roya ed il territorio di Tenda, Briga e Saorgio, senza un confine ben definito verso occidente.
  4. Il Canton Ticino fino allo spartiacque alpino e gli altri territori svizzeri degradanti verso la Lombardia come la Val Bregaglia (Berzell) ed il Poschiavino (Puschlav).
  5. I Grigioni, limitatamente al versante meridionale e sud-orientale, senza un confine preciso: della flora dei Grigioni non si è tenuto conto in modo sistematico (perché alcune zone, come la valle del Reno, non hanno niente a che fare con la flora italiana), ma solamente con riguardo alle specie alpine, che potrebbero venire ritrovate anche entro i nostri confini.
  6. Il versante settentrionale delle Alpi Carniche e l'adiacente Valle del Gail.
  7. Le Alpi Giulie.
  8. La Valle dell'Isonzo ed il Carso sloveno fino alla Tarnova e M. Nanos, limitatamente alle piante endemiche ed elementi illirici, che in questa zona si avvicinano al nostro confine orientale.
  9. L'Istria, della quale oggi solo una piccola parte (il territorio di Muggia) è sotto amministrazione italiana, soprattutto per quanto riguarda i territori affacciantisi al Golfo di Trieste, esclusi invece il M. Maggiore. Arsa ed Istria Meridionale,floristicamente più differenziati.

Fra i territori tradizionalmente inclusi nelle Flore italiane invece non vengono prese in considerazione né le isole del Quarnero, né le isole centroadriatiche (Pomo. Pelagosa, Lissa), che presentano maggiore affinità con la flora della Dalmazia.

(¹)Cfr. anche pag. 12.

Il problema della definizione dei confini per la presente Flora d'Italia assume rilevanza agli effetti della valutazione del numero totale di specie: riteniamo infatti che questo possa rappresentare un importante dato di partenza per elaborazioni di carattere quantitativo sui problemi fitogeo-grafici ed ecologici della nostra flora. Una variazione dei confini porta come conseguenza inevitabile variazioni nel numero totale delle specie. Con la numerazione progressiva(¹) vengono indicate come italiane tutte le specie che vivono entro i predetti confini politici ed ancora quelle delle Isole Maltesi e della Corsica, perché le flore di questi territori presentano la massima affinità dal punto di vista biogeografico con la flora dell'Italia in senso stretto. Per quanto riguarda i confini terrestri lungo l'arco alpino, le specie crescenti nelle zone prese in considerazione, ma non su territorio italiano, vengono invece riportate fuori della numerazione progressiva, e quindi considerate non-italiane, essendo esse l'estrema differenziazione di flore diverse dalla nostra.

I confini marittimi del territorio studiato e così pure lo spartiacque principale del sistema alpino sono limiti chiari ed indiscutibili ed in generale sull'appartenenza o meno alla nostra flora delle specie di questi territori non sussistono dubbi. Il problema si complica invece ai due estremi della catena alpina, presso il mare, cioè tanto sulle Alpi Marittime che lungo il confine orientale da Tarvisio a Trieste. In entrambe le zone un confine geografico chiaro ed indiscutibile non esiste, ed il confine politico decorre capricciosamente per effetto di cause storiche antiche e interessi linguistici ed economici recenti; trattandosi di territori floristicamente assai ricchi, il decorso del confine attuale determina in maniera alquanto artificiosa l'appartenenza o meno di parecchie specie alla nostra flora. Nei limiti del possibile abbiamo accettato solo le specie, per le quali esistevano notizie sicure relative a località incluse nel confine politico attuale, però in molti casi la decisione è stata difficile. Sulle Alpi Marittime alcuni motivi d'incertezza sono causati dalle variazioni del confine a seguito della seconda guerra mondiale: Ononis striata Gouan (n. 1776) ad es. era conosciuta su territorio italiano solo per la zona di Tenda, che ora è passata a far parte del territorio francese: è impossibile affermare in questo momento se le popolazioni di questa specie siano ora tutte in territorio francese oppure se ne sia rimasta qualcuna anche su suolo italiano. Ancor più complicato il caso di Genista holopetala (Fleischm.) Bald. (n. 1609), il cui areale è in massima parte sul Carso sloveno, che però era nota già dal secolo scorso per il Monte Spaccato in territorio triestino: distrutta nel 1943 la popolazione del Monte Spaccato da un incendio e successivo rimboschimento, perdute le popolazioni vicine per il passaggio del Carso sloveno alla Jugoslavia nel 1945, questa specie avrebbe potuto venire cancellata dalla flora italiana, se negli ultimi anni non fosse stata ritrovata in una nuova località presso Trieste. È evidente, che in casi simili i criteri per l'attribuzione dei-passaporto italiano alle specie confinarie risultano largamente soggettivi. Ogni specie rappresenta un caso a sé, che ha dovuto esser deciso arbitrariamente e spesso in base ad insufficienti elementi di giudizio. In linea generale in questi casi è stato seguito un criterio estensivo, ammettendo per la flora italiana anche le specie di dubbio indigenato; questo non può aver procurato gravi alterazioni del numero finale, trattandosi di casi singoli su 5599 specie censite per la flora italiana.

Come descrizione dell'area studiata non saprei trovare parole migliori di quelle pronunciate da Filippo Parlatore (1816-1877), il 17 ottobre 1847 al Congresso degli scienziati italiani in Venezia: «Un paese come l'Italia non potea non richiamare l'attenzione de' dotti sulle piante che ne fan bella la superficie. Dotata di un cielo, ch'è ben a ragione invidiato dagli stranieri, la nostra penisola presenta le più alte giogaie de' monti, che vantar possa l'Europa, coronate alla cima da eterne nevi, presso cui le piante ritrovan quasi le medesime condizioni delle vicinanze dei poli, mentre le sue coste bagnate dai mari mediterranei e le numerose isole ad essa aggiacenti godono di un clima temperato e soave, in cui sotto un sole splendido e vivificante mostrano i vegetabili una varietà ed un lusso, quasi proprio dei tropici. Dalla xilene acaulis, dall'oreria helvetica ed imbricata e da taluni licheni al gigantesco papiro ed alla stapelia europea, che segnano gli estremi limiti della vegetazione d'Italia, gran parte si comprende in essa della flora d'Europa. Insieme a catene di monti, in cui sublimi si estollono le candide vette del Bianco, del Rosa, del Corno, ed in cui s'innalzan giganti l'abete ed il larice quasi a mostrare l'elevatezza dell'ingegno italiano, sorgono nella nostra Italia montagne assai più basse e colli aprici, ove prosperano l'olivo, la vite ed il sommacco. Ardon ivi taluni vulcani, fra cui l'Etna torreggia, dormono altri perché spenti, e se non mandan più fumo né lava, non sono affatto inutili per la varietà delle piante. Brillantate ghiacciaje; fredde e limpide fonti; mormoranti ruscelli; cascate d'acqua argentee e spumeggianti; rumorosi torrenti; fiumi piccoli e grandi e minacciosi; laghi placidi o in tempesta; paludi talvolta estese ed all'uomo pestifere; muti stagni, bassi, montuosi ed alpini, canali e fosse per l'irrigazione de* campi; scogli c rupi marine logorate dall'urto de' flutti; lagune, sabbie ammonticchiate sulle sponde del mare; prati e campi di varia estensione e natura; orli e ruderi di antiche fabbriche; terreni granitici, calcarei, vulcanici; antri, grotte, mofete. cave di miniere diverse e salutifere acque termali; rupi, balze, inaccessibili picchi, precipizi sovente spaventevoli; siepi, selve, macchie, foreste, ove talvolta il raggio del sole italiano non può mai penetrare, un continente prolungato nella direzione quasi dal nord al sud, di cui bagnan le spiagge mari diversi; ed isole grandi, piccole, e talfiata ancora piccolissime; ecco un'infinita varietà di stazioni e di condizioni topografiche che da se sole basterebbero per darci un'idea della ricca suppellettile delle piante italiane, se la varia esposizione del suolo, la diversità dei gradi di latitudine e delle linee isotermiche, il soffiare di venti che muovono da paesi diversi, maggiormente non influissero a far della flora italiana una delle più ricche flore d'Europa».

STORIA

(¹) Popper K.. R., Scienza e filosofia p. 13. Einaudi 1969.

Origini della tradizione floristica

Non è esagerato affermare, che lo studio della flora secondo un moderno metodo scientifico ha origine proprio in Italia, durante la splendida fioritura culturale dei secoli XV-XVI; le scuole più fiorenti sono nella bassa pianura padana, soprattutto a Padova e Venezia dove operano il Savonarola (1384-1461). Rinio (verso il 1415). Michiel (1510-1576). Anguillara (1512-1570). Cortuso (1513-1603) ed in Romagna, soprattutto attorno a Ferrara, di dove provengono il Leoniceno (1428-1524). Richicri (1450-1525). Mainardi ( 1462-1526). Ghini ( 1500-1556). Falloppio (1523-1562). Aldrovandi (1522-1605). Fioristi e speciografi originali erano ancora attivi in altri centri, così il Calzolari detto Calceolarius (1521-1600) e Pona (verso il 1600) a Verona, il Gabrieli ( 1494-1553) e l'insigne Mattioli ( 1500-1577) a Siena, Cesalpino (1519-1603) e Casabona ( + 1596) a Pisa. Della Porta (1536-1615). Maranla (1500-1571). Imperato (1550-1625) e Colonna (1571-1650) a Napoli. Tra gli stranieri che in quest'epoca vennero in Italia a perfezionare le proprie conoscenze botaniche vanno ricordati Gesner (1516-1565). De l'Obel (1538-1616). Giov. Bauhin (1541-1613) ed il fratello Gaspare Bauhin (1560-1624). lo Spigelio (1578-1625); fra coloro che portarono contributi alle conoscenze botaniche sono ancora il filosofo Cardano, il navigatore Pigafetta e lo stesso Leonardo da Vinci. I nomi degli studiosi sopra riportati sono noti ormai soltanto agli eruditi; più notevole il fatto che in quell'epoca, nel giro di pochi anni (dal 1544 al 1567) venissero per la prima volta istituiti orli botanici universitari, come quelli di Padova. Pisa, Firenze. Roma e Bologna.

Erano queste istituzioni ben dotate e progettate con lungimiranza, paragonabili, come impegno organizzativo c finanziario per le amministrazioni dell'epoca, ai grandi centri di ricerca dell'epoca attuale, e ben presto questi orti botanici ebbero un'importante funzione di richiamo per gli studiosi di tutt'Europa. A questo magnifico inizio tuttavia non fece seguito una corrispondente produzione scientifica: già verso il 1600 la scuola botanica italiana sembra inaridirsi, e ciò proprio mentre la botanica si sviluppa impetuosamente nei Paesi vicini (Francia, Germania, Inghilterra ed Olanda); tale situazione si prolunga durante un secolo e mezzo. Questa lunga eclissi è verosimilmente collegata all'imposizione autoritaristica sulla cultura italiana, che culminò con le condanne di Giordano Bruno e di Galileo. Come acutamente commenta il Popper (¹), la condanna di Galileo non aveva tanto il senso di impedire che il sistema copernicano venisse divulgato, ma era diretta soprattutto contro la pretesa, che l'intelletto umano potesse scoprire, senza l'aiuto della rivelazione divina, i segreti del nostro mondo gli effetti di questa condanna furono quindi disastrosi non solo nel campo dell'astronomia, ma su un piano ben più generale, ed anche per quelle scienze, come la botanica, che non potevano rappresentare alcun pericolo per la Chiesa. Soltanto nella seconda metà del secolo XVIII. come conseguenza della ventata illuministica, riprendono gli studi botanici in Italia, ed è caratteristico il fatto che gli studiosi più originali di quest'epoca siano Allioni e Scopoli. entrambi aperti all'influsso della cultura centroeuropea, essendo il primo professore a Torino (città a quel tempo sotto l'influenza francese) ed il secondo a Pavia. nell'Università restaurata e rinnovata dagli imperatori d'Austria Maria Teresa e Giuseppe II.

Il periodo napoleonico fu caratterizzato, soprattutto nell'Italia Settentrionale, da una relativa libertà, benessere ed unità politica, che permisero di recuperare, almeno in parte, il ritardo rispetto ai Paesi dell'Europa Centrale: questo almeno nella maggior parte dei campi della scienza, non però nella botanica. Possiamo infatti pensare che a quel tempo la fiora delle Alpi (c della vicina pianura, floristicamente assai povera), fosse ormai nota nelle sue linee generali attraverso l'opera di studiosi stranieri (Linneo, che riassunse pure l'esperienza degli Autori precedenti. Villars. Chaix. Lamarck. De Candolle. Gaudin. Wulfen. Host, Jacquin, Stcrnberg. Hoppe. ecc.) e per i fioristi italiani rimanesse ormai ben poco di nuovo da scoprire. Mancando lo stimolo alla ricerca, l'interesse degli studiosi nella prima metà del sec. XIX fu rivolto verso la flora di altri territori come la Corsica (Viviani), Sardegna (Moris). Dalmazia (De Visiani) oppure verso la crittogamia. Per quanto riguarda l'Italia Settentrionale sono di questo periodo parecchie Flore regionali e provinciali, opere utili e valide in quanto forniscono le basi per una geografia botanica del nostro Paese, ma in complesso d'interesse locale e limitato; si possono anche ricordare i primi due tentativi di Flore italiche, dovuti al Turra (1780) ed al Romano (1820) opere di livello modesto, che non ebbero alcuna influenza sui successivi sviluppi delle scienze.

La prima scuola autoctona moderna di fioristi e speciografi in Italia sorge invece nel Meridione durante la prima metà del sec. XIX, a Napoli, grazie all'impulso di M. Tenore al quale riusci nel 1809 di realizzare un grande Orto Botanico in questa città, capitale del Regno delle Due Sicilie. Molte condizioni favorevoli si presentavano in questa zona: una tradizione filosofica d'alto livello, una certa fiducia (forse un po' ingenua, ma certo diffusa fra i responsabili del governo) nella possibilità di migliorare attraverso scoperte scientifiche le condizioni del popolo ed anche dei monarchi che amavano circondare le proprie residenze di splendidi giardini (ed, almeno in questo, si mostravano illuminati). Forse non fu senza importanza anche la visita che studiosi di grandissime capacità, come lo Schouw ed i fratelli Presi, fecero in Sicilia negli anni 1817-1819. che permise un primo contatto degli studiosi locali con l'esperienza medioeuropea. Il fattore determinante però fu certo la presenza di una aura di insospettata ricchezza, ancora sconosciuta ed a portata di mano per chi volesse studiarla. Questo diede agli studiosi meridionali del tempo la possibilità di maturarsi in un'esperienza creativa. La scuola botanica meridionale è caratterizzata da due grandi nomi: Tenore (1780-1861) e Gussone (1787-1866), oltre a molti altri, la cui attività in parte si prolungò fino all'inizio del nostro secolo. L'opera principale del Tenore è una monumentale Flora Napoletana (1811-1838), mentre il nome di Gussone è legato soprattutto ad una Flora Sicula in due differenti redazioni (Prodromus, 1827-1828: Synopsis 1842-1844): queste opere superano l'interesse puramente locale, in quanto la Flora Napoletana abbraccia un territorio pari a circa la metà della Penisola, mentre la flora siciliana, con circa 2500 specie, è paragonabile alla flora di ben più vaste regioni a clima temperato, come la Germania o la Scandinavia. Molte specie di Tenore e Gussone vengono in seguito identificate anche in altre zone dell'Europa Meridionale, ed oggi le opere di questi Autori sono comunemente riconosciute tra le fonti più importanti delle conoscenze sulla flora dell'intero bacino Mediterraneo.

(¹) Quando io ero assistente a Pavia nel 1955 mi capitò sotto mano un erbario del Bertoloni, certo di questo periodo: forse questo è l'erbario giovanile che il Parlatore, nel necrologio di Bertoloni (N. Giorn. Bot. Ital. 1: 149, 1869) afferma essere andato perduto nel saccheggio di Pavia ad opera dei Francesi. Questo erbario è opera pregevole, ma senza particolare interesse; l'idea di pubblicarne il contenuto venne quindi lasciata cadere. Anche il problema delle date andrebbe approfondito: Parlatore (1. cit.) afferma che Bertoloni si iscrisse a Pavia nel 1792 (cioè appena diciassettenne) e che quivi fu in contatto con lo Scopoli, il quale invece secondo i suoi biografi, sarebbe morto già nel 1788.

(²) Si potrebbe immaginare una rivalità tra Bertoloni e Parlatore, entrambi impegnati alla redazione di due distinte Flore italiane: invece tra i due vi fu una calda amicizia, durata 35 anni e che «non fu intorbidata mai dalla menoma nuvoletta», come scrisse il Parlatore.

La prima Flora d'Italia (A. Bertoloni).

Antonio Bertoloni

Nella situazione sopra delineata nasce la prima Flora d'Italia ad opera di A. Bertoloni (1775-1869). Questi, nativo di Sarzana. era verosimilmente di stirpe ligure, ma, per la posizione della cittadina natia, sensibile alle influenze toscane, emiliane e lombarde. Studiò a Pavia, dove fu allievo dello Scopoli, che gli mostrò benevolenza ed amicizia e lo avviò alla botanica ('), ed in seguito, dal 1817 al 1869. fu professore a Bologna; la Flora fu edita fra il 1833 ed il 1854. ma a detta dello stesso Bertoloni era stata iniziata già verso il 1793 (quindi sotto l'influenza dello Scopoli): la sua redazione occupò dunque il Bertoloni per quasi 60 anni. In quell'epoca l'Italia era divisa tra staterelli piccoli e piccolissimi, generalmente con governi autoritari e retrivi; già il fatto di intitolare un'opera scientifica all'Italia e non ad uno di questi staterelli rappresenta un atto di coraggio civile del professore bolognese, che d'altra parte doveva però essere un personaggio abbastanza pacifico, corpulento e certo amante della buona cucina emiliana. Piccolo di statura, mentalità d'erudito, elegante latinista, il Bertoloni ebbe 7 figli (uno dei quali gli successe alla cattedra bolognese) e raggiunse la veneranda età di 94 anni. Di lui ci resta, all'Istituto Botanico di Bologna, una comoda poltrona foderata in cuoio, arnese indispensabile per la lunga fatica redazionale. La Flora del Bertoloni è non soltanto la prima, ma anche l'unica Flora d'Italia, che dia un quadro completo ed a livello monografico delle conoscenze del tempo: le Flore successive vennero scritte rinunziando a priori di giungere ad un tale approfondimento oppure, quando questo venne tentato, rimasero incomplete. L'opera si compone di 10 volumi, di aspetto antiquato per la rilegatura rudimentale, la carta grossolana, i caratteri di stampa d'aspetto settecentesco; viene usata la lingua latina e l'ordinamento delle specie nelle classi linneane. Per lutti questi motivi la Flora del Bertoloni appare ormai arcaica e per noi ha soprattutto valore storico. Va invece osservato che essa, dal punto di vista scientifico, è eccellente: il concetto di specie è molto naturale e nella maggior parte dei casi ancor oggi praticabilissimo; le descrizioni sono precise e dettagliate e l'Autore indica sempre con grande onestà se si tratta di osservazioni effettuate in vivo oppure sul secco o anche di dati desunti da altri autori: l'analisi della letteratura è del tutto esauriente; le distribuzioni, indicate in dettaglio, sono ancor oggi nella maggioranza dei casi insuperate. Il Bertoloni produsse dunque un'opera che non sfigurava di fronte ai migliori esempi europei del tempo: tanto maggiormente può stupire dunque, che quasi contemporaneamente (²) andasse preparandosi.

La seconda Flora d'Italia (F. Parlatore).

Poco più giovane del Bertoloni, il Parlatore nacque a Palermo nel 1816. si laureò in medicina ed ebbe le prime esperienze scientifiche come incaricato di Anatomia Umana; il suo interesse per la botanica, vivo già dall'adolescenza, venne coltivato dall'amicizia con i botanici locali, soprattutto Tineo e Bivona e si concretò nella pubblicazione, a soli 22 anni, del primo fascicolo di una Flora Panormitana, che non venne in seguito completata. Forse scoraggiato da un ambiente accademico gretto e retrivo, nel 1841 Parlatore lasciò la sua città natale alla ricerca di chi gli potesse dare una preparazione scientifica adeguata; è interessante il fatto che a Napoli (dove pure avrebbe avuto la possibilità d'entrare in contatto con Tenore ed i suoi allievi) si fermasse solo pochi giorni, e si recasse invece direttamente a Ginevra e Parigi, dove si fermò per un anno: qui I De Candolle. St. Hilairc e Brogniart sono i suoi Maestri, l'amicizia con Webb e con A. von Humboldt, la discussione delle idee del Cuvier. la visita all'Erbario Linneano di Londra sono le esperienze di questo periodo, che condizionano tutto il suo successivo sviluppo scientifico. Certo in questo periodo viene concepito il progetto di una nuova Flora italiana, fondata sull'organografia comparata delle piante e resa possibile dal coordinamento dell'attività dei numerosi studiosi locali. Questo progetto gli vale la chiamata a Firenze ( 1842). dove resterà per 35 anni, fino alla morte. Nella nuova sede Parlatore organizza l'Erbario Centrale Italiano (oggi, assieme alle altre collezioni acquisite all'Istituto, uno dei maggiori de! mondo) ed inizia la pubblicazione della nuova Flora, il cui primo volume appare nel 1848. L'ambiente culturale fiorentino, già al tempo del Granducato relativamente libero ed aperto alle influenze francesi ed inglesi, favorisce la nascita di quest'opera. Il Parlatore è ricco d'ingegno e curiosità, ha una mente aperta e personalità forte nella ricerca, fragile però nella vita pratica; egli rivela in questo la sua natura d'intellettuale formatosi nell'ambiente accademico e benvoluto alla Corte). La Flora di Parlatore è pure concepita in 10 volumi, però solo i primi quattro (1848-1869) sono interamente corrispondenti alle idee dell'autore, mentre i successivi (1873-1896) sono parzialmente opera del Caruel. che terminò l'opera intarsiando manoscritti autografi di Parlatore (accuratamente contrassegnati) e compilazioni proprie: nelle righe seguenti ci riferiremo dunque soltanto a questi primi volumi, che comprendono le Monocotiledoni e pochi altri gruppi. L'aspetto tipografico di questa Flora è moderno e piacevole, il testo è scritto in un italiano scorrevole ed elegante, alternato a diagnosi latine; l'inquadramento in famiglie risulta di sorprendente modernità. Il concetto di specie dell'Autore è largamente corrispondente a quello di Tenore, Gussone e Bertoloni ed ancor oggi valido, la nomenclatura assai moderna, le descrizioni sono spesso estremamente precise e dettagliate. In ogni particolare si nota il continuo sforzo dell'Autore di produrre un'opera per quanto possibile moderna ed aggiornata, in particolare mediante la descrizione di un gran numero di nuovi generi, in gran parte ancor oggi accettati. Tra le numerose specie descritte come nuove si notano invece alcuni squilibri tra felici intuizioni (come in Juncus e Luzula) ed inutile frammentazione di gruppi naturali (come in Tulipa e Narcissus). Squilibri si hanno pure nella trattazione dedicata all'una oppure all'altra specie e nella trattazione dell'arcale italiano, spesso assai approssimativa. Qualitativamente inferiori ed in generale prive di originalità sono invece le parti redatte da Caruel. L'opera del Parlatore emerge come la migliore dal punto di vista qualitativo dedicata alla flora italiana ed una delle migliori del secolo scorso in campo europeo.

(¹) Mollo istruttiva, per comprendere il Parlatore come uomo, è la lettura del libro nel quale egli racconta il proprio viaggio di studi in Scandinavia fino al circolo polare ed oltre, viaggio che non produsse risultati scientìfici notevoli e lo fiaccò nel fisico. Invece la Flora è praticamente priva di riferimenti personali. Sulla vita del Parlatore cfr. Negri G.. N. Giorn. Bot. Ital. n.s. 34: 972-999(1928).

Filippo Parlatore

La terza e la quarta Flora d'Italia.

Nella seconda metà del secolo XIX apparvero altre Flore italiane, opere serie ed utili, però senz'altro secondarie rispetto a quelle che le avevano precedute. La Flora di Arcangeli (1882. una II edizione nel 1894) è la più piccola tra le Flore italiane: un solo volume, facile a trasportare nelle escursioni, nel quale in forma chiara ed essenziale sono riunite le nozioni più importanti; essa fu assai utile come Flora da escursione, però, mancando di chiavi analitiche, cadde in dimenticanza dopo la pubblicazione della Flora di Fiori e Paoletti. L'Arcangeli non portò grandi innovazioni alla sistematica delle piante italiane, però il suo nome ricorre frequentemente nelle Flore moderne per una coincidenza curiosa: nell'introduzione esplicativa alla Flora. Arcangeli indica le entità in-fraspeciriche (contrassegnate nel testo con lettere greche) come «sottospecie», il che gli ha garantito la priorità per un gran numero di nuove combinazioni, una piccola iniezione di fama non certo immeritata per un Autore coscienzioso ed onesto. La quasi contemporanea Flora di Cesati. Passerini e Gibelli (1868-1886) si presenta interessante sotto molti punti di vista: l'uso ampio di chiavi analitiche, le figure di dettaglio, la veste moderna ed essenziale. Però quest'opera non ebbe fortuna. Quasi priva di novità rispetto alle precedenti, generica e spesso approssimativa, essa può dirsi un'opera senz'anima. Del resto c chiaramente impossibile che tre botanici possano realizzare una vera collaborazione in argomenti di sistematica, che porti ad una trattazione veramente unitaria, a meno che essi non lavorino sedendo ad un medesimo tavolino (cosa che i tre. professori in sedi fra loro lontane, non poterono certo fare). Un merito però può forse venire trovato anche per quest'opera, ed è di aver fornito un modello, che Fiori saprà pochi anni più tardi realizzare in maniera ben più felice.

La quinta Flora d'Italia (A. Fiori).

Il nome di A. Fiori è legato a due Flore italiane: nella prima (1896-1909) egli compare quale co-autore assieme a G. Paoletti. nella seconda (1923-1929) come autore unico. In realtà anche la prima di queste Flore è principalmente opera del Fiori, quindi conviene considerarle come fossero un'opera singola in due edizioni. Adriano Fiori (da non confondere con il fratello Andrea Fiori, pure abbreviato A. Fiori, buon botanico dilettante) nacque a Formigine presso Modena nel 1865; assistente a Padova per molti anni, quindi professore alla facoltà agrario-forestale di Firenze. La prima versione della sua Flora nasce alla fine del secolo scorso: Fiori era allora a Padova, in contatto col Saccardo (a quel tempo direttore dell'Istituto Botanico) e testimone della faticata organizzazione e redazione di grandi opere di sintesi come la Sylloge Fungorum dello stesso Saccardo e la Sylloge Algarum del De Toni. È probabile che l'incitamento alla redazione di una Flora fanerogamica gli venisse proprio dal Saccardo, desideroso di affermare l'attività dell'istituto anche in questo campo. Fino a quel punto Fiori si era occupato soprattutto come fiorista, con una vivace attività di campagna; aveva percorso quasi tutt'Italia. effettuato raccolte molto considerevoli (presto distribuite ai principali erbari italiani e stranieri) ed era probabilmente uno dei migliori conoscitori della flora italiana, forse il più completo come conoscenze. Per il lavoro egli si associò un giovane collaboratore, che aveva dato buona prova nei suoi primi lavori, dividendo la materia in parti circa eguali, in modo da poter terminare il lavoro sollecitamente. Lo schema dell'opera è certo del Fiori, perché corrisponde già a quello seguito successivamente dallo stesso nella «Nuova Flora Analitica», né d'altra parte si può pensare che il debuttante Paoletti avesse molto da suggerire al collega più anziano e più esperto. Comunque il Paoletti(¹) scrisse una parie notevole del manoscritto. che venne poi dato in prova a studenti e laureandi, ed infine scomparve misteriosamente, né fu mai più ritrovato da alcuno. Nel frattempo erano state stampate alcune parti redatte da Fiori e poco di quanto aveva scritto Paoletti: quando Fiori venne a sapere della perdita del manoscritto, attribuita a negligenza del Paoletti. si indignò moltissimo, il lavoro venne quasi abbandonato, quindi ripreso con nuovi collaboratori (Pampanini. Vaccari e Béguinot), mentre il Paoletti. scoraggiato, rinunciava forse a torto alla carriera scientifica per dedicarsi all'insegnamento nella scuola media, dove non gli mancarono soddisfazioni e riconoscimenti. Questa storia viene qui riportata anzitutto per spiegare la lunga pausa tra la comparsa del primo volume e dei seguenti, ma soprattutto perché ci dimostra come l'unico elemento di continuità nella lunga vicenda fu il Fiori, al quale va dunque la sostanziale paternità dell'opera. Molto meno contrastata al confronto la comparsa della Nuova Flora Analitica, alla quale il Fiori dedicò gran parte della sua attività durante il periodo fiorentino.

(¹) questi particolari in parte inediti mi sono stati raccontati da testimoni dell'epoca (soprattutto il prof. M. Minio) e dall'amico prof. Mariacher, parente del Paoletti.

Adriano Fiori

Fiori, a detta di quanti lo conobbero (io non l'ho conosciuto personalmente) era un uomo amante della vita semplice, con una famiglia patriarcale (10 figli), ricco di umana saggezza. Il suo interesse scientifico ne faceva un eccellente fiorista, mentre non ebbe che attività saltuaria negli studi di sistematica vera e propria.

La Flora del Fiori (d'ora in poi verrà discussa soltanto la seconda stesura, cioè la Nuova Flora Analitica) è composta da due volumi più un volume di illustrazioni che, pur avendo titolo e formato diverso, ne costituisce il naturale completamento. Una serie ben ordinata di chiavi analitiche permette l'individuazione di circa 3800 specie; molte di esse vengono considerale polimorfe e corredale di un'ulteriore chiave analitica che permette l'individuazione di taxa in-fraspccifici contrassegnati con lettere dell'alfabeto greco ed indicati dal Fiori come varietà. Le chiavi analitiche sono ben congegnate e di qualità corrispondente a quella delle Flore straniere contemporanee, tuttavia spesso risultano macchinose o inutilmente complesse a causa dell'esigenza di far coincidere alle singole dicotomie gruppi naturali riconosciuti dai sistematici (ad es. i generi sono divisi in sottogeneri, questi in sezioni ecc.): esse dunque vogliono perseguire due scopi contemporaneamente (riconoscimento delle specie ed inquadramento sistematico), ma se fossero state limitate al solo riconoscimento sarebbero certo risultate più maneggevoli. Le descrizioni delle specie sono chiare e precise. Insoddisfacenti sono invece i dati distributivi, spesso ridotti alla formula «Istria, Penisola ed Isole» (geograficamente inesatta, perché Fiori considerava anche le Alpi pertinenti alla Penisola) oppure al famigerato «Qua e là». Ancora più insoddisfacente la nomenclatura, che non segue le regole del Codice Internazionale e mantiene in vita una serie di binomi non validi ed ormai obsoleti. La nomenclatura arcaica è certo il difetto più frequentemente criticato in quest'opera (anche con la facile ironia sulla «Flora Paralitica») ed in realtà non si comprende come mai il Fiori, profondo conoscitore della contemporanea letteratura floristica francese e germanica, abbia voluto percorrere una via individuale, non fondata su solide basi logiche, e che quindi rende la sua opera avulsa dalla tradizione floristica europea, una situazione di provincialismo che rappresenta un regresso rispetto alle Flore di Bertoloni e Parlatore.

Anche nel trattamento delle specie Fiori va contro corrente, riducendo un gran numero di specie universalmente riconosciute a semplici varietà entro gruppi collettivi classificati come specie ed indicati con nomenclatura binomia. In generale questo viene riassunto con l'affermazione che Fiori abbia un concetto «linneano» (o addirittura «hyperlincano», come diceva un amico spagnolo), ma questo punto, essenziale per comprendere il significato dell'opera di Fiori, merita una discussione più approfondita. La base teorica delle moderne Flore analitiche può essere a mio parere esposta come segue. L'oggetto (i vegetali di una certa zona) viene concepito come un insieme, che mediante l'applicazione del metodo analitico (dicotomie successive) sui caratteri morfologici dei singoli componenti può esser diviso in sottoinsiemi: questi hanno comprensività via via minore, ma omogeneità crescente (il genere Rosa è meno comprensivo della famiglia Rosaceae, ma più omogeneo di questa come aspetto esterno, biologia, ecologia, ecc.) e risultano pertanto sempre meglio caratterizzati. Questo procedimento può essere spinto solo fino ad un certo punto, che concilia la minima comprensività con l'omogeneità morfologica ed un massimo di caratterizzazione: oltre questo livello critico, ogni ulteriore suddivisione morfologica cessa di portare un aumento dì caratterizzazione. Il livello critico così definito corrisponde al concetto di specie biologica e rappresenta il massimo limite al quale è possibile giungere nella distinzione tra i vegetali che costituiscono una flora: la specie in una Flora analitica corrisponde all'atomo in un trattato di chimica analitica. Si potrebbe ipotizzare che la specie abbia veramente una realtà oggettiva e sia indivisibile, ma sappiamo che questo non è vero neppure per gli atomi della fisica, ben più semplici delle nostre unità biologiche. In realtà, tanto l'atomo che la specie rappresentano solo dei modi di interpretare la realtà, che possono risultare più soddisfacenti di interpretazioni più antiche (l'atomo di Bohr è più soddisfacente di quello di Democrito), ma restano suscettibili di affinamenti ulteriori (l'atomo interpretato come un complesso di particelle elementari, la specie come un complesso di popolazioni). Da queste considerazioni si ricava la conclusione, che il livello critico che definisce la specie è in complesso arbitrario, e corrisponde alle estreme divisioni ottenute mediante l'applicazione del metodo analitico. In altre parole, se non possiamo definire a priori la specie e qui arrestare il procedimento analitico, ci troveremo costretti a prendere atto del punto, al quale un certo autore ha arrestato il proprio procedimento analitico e qui definire il concetto di specie, valevole ovviamente per il solo autore considerato. Applicando questo ragionamento all'opera di Fiori, si giunge alla conclusione (in apparenza paradossale), che le specie di questo autore non sono le 3800 contrassegnate col numero progressivo, ma piuttosto le varietà contrassegnate con lettera greca, cioè circa 12000 entità, perché tanti sono i suoi «atomi»: Fiori dunque non era iperlinneano, ma piuttosto ipergiordaniano! Una discussione ulteriore probabilmente rischierebbe di cadere nel nominalismo, comunque appare chiaro che il concetto di specie usato nell'opera di Fiori è fortemente deviante (per ampiezza eccessiva oppure troppo ridotta) da quello comunemente usato nelle Flore dei paesi europei e mediterranei.

È dubbio che Fiori si sia posto questi problemi durante la stesura della sua Flora. Possiamo piuttosto spiegarci i caratteri della sua opera ricordando che egli fu grande come fiorista, ma debole come sistematico. Il fiorista tende inconsciamente ad analizzare fino al massimo limite possibile, e spesso anche oltre questo limite: la visione sintetica del sistematico non lo interessa.

Dopo questa lunga scia di critiche riesce più facile affermare la validità della Flora di Fiori, che per tre generazioni ha costituito la base di partenza di ogni studio sulla fiora e la vegetazione italiana. Le due versioni curate dal Fiori e le successive ristampe hanno garantito a quest'opera una diffusione incomparabilmente superiore a quella delle Flore precedenti. Il giudizio complessivo su quest'opera è dunque largamente positivo, e se essa non fosse stata scritta, le conoscenze attuali sulla flora italiana sarebbero certo meno approfondite. Tuttavia essa, per le sue caratteristiche strutturali, ha favorito le ricerche di geografia botanica e di florìstica, ha invece frenato le ricerche di sistematica ed ha avviato gran parte della produzione scientifica italiana in questo campo su un vicolo cieco nomenclaturale, che l'ha isolata rispetto alla produzione straniera. Per questo negli ultimi decenni gli studiosi più svegli, e soprattutto quelli che. operando sulla catena alpina, potevano far uso delle Flore francesi, svizzere e germaniche, hanno cominciato a trovare sempre più insoddisfacente la trattazione del Fiori, e da qui è sorta l'esigenza di una nuova Flora d'Italia!(¹)

(¹) Mentre il manoscritto della mia Flora subiva le ultime rifiniture in vista della pubblicazione, appariva la Flora Italica di P. Zaaehcn, opera ponderosa e deeno coronamento all'attività de! decano dei botanici italiani. Un giudizio su un'opera appena uscita sarebbe azzardalo, essa comunque appare di ottima qualità ed indubbiamente rappresenta un notevole progresso per la conoscenza della flora del nostro Paese.

Storia di questa Flora.

Nel periodo ira il 1950 ed il 1955 all'Istituto Botanico di Pavia R. Ciferri e V. Giacomini lavoravano ad un Nomenclator Florae Italicae che per la successiva morte del primo degli Autori rimase incompiuto. Nel 1953 il Ciferri. allora direttore dell'Istituto, assegnò a me (da pochi mesi nominato assistente) il compito di redigere una chiave analitica per le specie elencate nel Nomenclator. in modo da poter accompagnare questo (inteso come opera di livello scientifico) con una «Fioretta» per escursione. Mi misi subito al lavoro ed in pochi mesi, con giovanile incoscienza, scrissi alcune centinaia di specie. Nel momento in cui scrivo queste righe, sono dunque passali ven-tun anni dal momento del primo inizio del mio lavoro. Come modello per la redazione venne scelta dapprima la Flora di Francia del Foumier, quindi la Flora svizzera di Schinz und Keller (III ed.); nel 1955 le Monocotiledoni (corrispondenti al primo fascicolo del Nomenclator) erano completate. Negli anni successivi furono redatti ancora alcuni gruppi critici, poi altri impegni ed altri interessi presero il sopravvento, il lavoro venne interrotto e, dopo il mio trasferimento a Padova nel 1958. abbandonato. Questa prima redazione era probabilmente esente da errori grossolani, essendo fondata sullo schema del Nomenclator, redatto da studiosi di ben maggiore esperienza della mia. tuttavia credo che la sua mancata pubblicazione non rappresenti una perdita per le conoscenze sulla fiora italiana. Durante il soggiorno padovano e dopo il successivo trasferimento a Trieste nel 1963 la redazione non compì ulteriori progressi, tuttavia mi rimase la sensazione disturbante di aver lasciato un problema insoluto e di non esser riuscito a portare a termine un impegno che mi ero assunto. Così continuai a dedicarmi, sia pure saltuariamente, a questo lavoro, realizzando alcuni studi di dettaglio e soprattutto un spoglio completo della bibliografia sistematica (Just's Jahresbe-richt, Bot. Centralblatt, Bulletin Analytique), che in seguito mi è stato in molte occasioni utilissimo.

Presso l'Istituto Botanico di Trieste il lavoro venne organizzato su nuove basi. Venne realizzato uno schedario generale della letteratura floristica riguardante l'Italia e furono compiute numerose escursioni nei più importanti distretti floristici del nostro territorio. Rimaneva tuttavia il problema della forma da dare all'opera (Catalogo. Flora da escursione. Flora critica), finché la pubblicazione dei primi volumi di Flora Europaea venne a fornire un modello redazionale eccellente, al quale mi sono attenuto con pochi cambiamenti, salvo l'aggiunta delle figure.

La redazione vera e propria è stata iniziata nel dicembre del 1969. portata avanti con la massima intensità e concentrazione possibili ed ora è praticamente conclusa; essa ha richiesto dunque oltre cinque anni. Dovendo assolvere contemporaneamente ai miei doveri didattici di professore nella Facoltà di Scienze di Trieste ed ai più urgenti impegni scientifici ed organizzativi, questo lavoro ha rappresentato un pesante aggravio della mia attività e per parecchi anni mi ha costretto alla completa rinunzia ad ogni riposo o tempo libero; il sacrificio principale per questo è stato sopportato dalla mia famiglia e soprattutto dai figli, che per anni hanno ricevuto troppo poco dal loro padre. Questi sono stati in complesso anni difficili per tutti, caratterizzati in Italia da una generale crisi delle istituzioni, la liquidazione delle vecchie strutture universitarie senza che ancora ne vengano proposte di nuove, una crisi sociale ed economica senza precedenti, mentre su scala mondiale i problemi del deterioramento ambientale, della sovrapopolazione e della scarsità di risorse alimentari ed energetiche si fanno sempre più pressanti. Più di una volta il lavoro per la redazione della Flora mi ha aiutato a superare le sofferenze e l'ansie prodotte dagli avvenimenti contingenti ed, attraverso lo studio e l'attività creativa, a ritrovare il necessario equilibrio dello spirito. L'intenso lavoro mi ha costretto ad una severa disciplina, anche fisica e per la necessità di approfondirne i fondamenti, mi ha condotto allo studio della filosofia. Da questa esperienza esco dunque arricchito, non solo nelle mie conoscenze sulla flora d'Italia.

Qualche notizia, come nei casi precedenti, sull'autore, anche se è difficile scrivere una nota autobiografica con distacco storico. Sono anch'io, come Fiori, di origine modenese (però nato a Venezia) e padre di numerosa prole. I miei maestri sono stati nei primi anni M. Minio a Venezia, poi V. Giacomini a Pavia durante gli studi universitari e nelle prime esperienze di ricerca scientifica, ed ancora, durante due periodi di specializzazione altamente formativi, i Bolòs a Barcellona e J. Braun-Blanquet a Montpellier! Le prime ricerche, soprattutto nel campo della fitosociologia. mi hanno avvicinato al concetto di specie come unità biologica e mi hanno fatto capire l'importanza della statistica in sistematica. Lo studio della vegetazione litorale mi ha portato ad approfondire la sistematica di un genere d'alofite (Limonium): da qui è nato un rapporto con il gruppo di Flora Europaea (per la quale ho redatto alcuni generi di Plumbaginacee), che per me è stato estremamente fruttuoso, costringendomi ad approfondire i principi della tassonomia e permettendomi di collaborare ai problemi della redazione di una moderna Flora. Nella mia vita ho conosciuto gli orrori di una guerra, il fermento ideale della resistenza ed i sacrifici della ricostruzione. Con questo lavoro spero sinceramente di fare qualcosa di utile per la mia terra, per la flora che essa ospita e per chi studia questa flora.

Dati riassuntivi sulle Flore italiane

  Anno d'inizio del lavoro Pubblicazione Anni (totale) Specie
    inizio fine    
Bertoloni 1793(¹) 1833 1854 61 4309
Parlatore 1830(²) 1848 1896 66 -
Cesati, Passerini e Gibelli 1864 1867 1886 22 -
Arcangeli I edizione     1882   -
Fiori e Paoletti 1892 1896 1908 16 3780
Fiori (Nuova Flora Analitica)   1923 1929   3877
Pignatti 1953 1975 1978(¹) 25 5599

(¹) Nell'introduzione al primo volume. Bertoloni afferma di aver iniziato l'opera con raccolte «o prima juveniute mea* e quindi di avere già 40 anni di esperienza quando, a 58 anni di età. licenzia le bozze del primo volume ( 1833).

(²) Parlatore scrive nell'introduzione al primo volume, di lavorare a quest'opera già da 18 anni. (') Data della definitiva chiusura del manoscritto.

SIGNIFICATO DI UNA FLORA

Quando si scrive una Flora ci si pone raramente il problema dei significato di ciò che si sta facendo. Forse in definitiva questo è un problema secondario, che tuttavia non può essere trascurato completamente. La flora generale di un territorio è un lavoro con carattere preminentemente descrittivo; le descrizioni si riferiscono a specie, sono fatte con frasi caratteristiche, corredate da misure quantitative e, se possibile, da figure. La flora contiene l'enumerazione completa di tutte le piante della zona, ordinate secondo un criterio logico che permetta di ritrovarle agevolmente. Questa breve descrizione si potrebbe però applicare anche ad opere ben diverse da una Flora.

Un catalogo di francobolli ad esempio porta egualmente descrizioni (che si riferiscono a serie), misure, illustrazioni e l'enumerazione completa di tutti i francobolli di un certo paese, disposti generalmente in ordine di tempo. Il raffronto si può spingere oltre: come la Flora serve da opera di riferimento per le collezioni di piante (erbari), così il catalogo serve per le collezioni di francobolli. Qual è dunque la differenza tra una Flora ed un catalogo di francobolli? La prima differenza consiste nel fatto che l'oggetto del catalogo (le serie di francobolli), essendo opera dell'uomo, ci è perfettamente noto. Qualsiasi dubbio riguardante un francobollo potrà esser chiarito da diligenti ricerche nell'archivio del Ministero delle Poste; sarà sempre possibile stabilire quando sia stato stampalo e quando sia stato messo in vendita, perché sia stato scelto un colore piuttosto che un altro, ecc. Nel caso della Flora, l'oggetto, della cui esistenza non possiamo dubitare, è rappresentato dalle piante, invece la Flora tratta di specie, che ci sono note soltanto in modo molto imperfetto; non sappiamo né quando esse si siano formate, né perché. Per una certa emissione di francobolli possiamo facilmente sapere quali siano le variazioni possibili di colore, di prezzo, di dentatura e di ogni altro carattere, e quali differenze ci dimostrino che invece si tratta di un'altra emissione, magari simile. Per una specie invece non possiamo enunciare a priori un campo di variabilità dei caratteri, né quali variazioni di aspetto siano sufficienti ad indicarci che ci troviamo in presenza di un'altra specie. Una differenza ulteriore consiste nel fatto che la serie di francobolli esiste certamente, indipendentemente dall'esistenza del catalogo, in quanto è stata creata dall'uomo. Trattando di flora invece non sappiamo se dietro a quello che noi chiamiamo specie stia una realtà e di quale tipo. Linneo si era posto il problema assai chiaramente e l'aveva risolto ammettendo che le specie abbiano una reale esistenza, nel quadro di una concezione idealistica della realtà. Secondo questa teoria, una Flora risulterebbe dunque un'immagine della realtà e sarebbe tanto più pregevole, quanto più vicina alla verità. Questa concezione linneana tuttavia rimane un'ipotesi, utile forse durame il più antico sviluppo della botanica, ma insostenibile oggi perché non spiega fenomeni quali l'evoluzione, la mutazione o la variabilità di popolazione. Possiamo sintetizzare queste differenze affermando, che il catalogo di francobolli è una fedele rappresentazione di una realtà, mentre la Flora è un'interpretazione soggettiva dei fenomeni.

Quanto finora esposto ci permette di tirare alcune conseguenze, che possono permettere di meglio comprendere il significato del lavoro eseguito:

  • l'elemento caratterizzante di una Flora è il concetto di specie esposto dall'autore, perché solo attraverso questo possiamo conoscere in quale modo l'autore interpreta la natura;
  • una Flora porta definizioni di specie e dati di altro carattere: solo quanto viene usalo per le definizioni è essenziale, il resto è accessorio: non disponiamo di una verità che possa servire come punto di riferimento per stabilire se le definizioni di specie siano corrette: possiamo verificare solo i dati accessori (ad es., se una specie esista o meno in un certo territorio, non se sia distinta rispetto ad una specie vicina);
  • in una determinata Flora non si può dire che certe specie siano giuste (quelle su cui tutti sono d'accordo) ed altre sbagliate (quelle che l'autore presenta in modo personale, magari insostenibile), ma solo che la rappresentazione data si lascia verificare più o meno agevolmente da un osservatore qualsiasi e risulta pertanto più o meno felice: soggettiva è la definizione delle specie, soggettivo il giudizio che si può dare su di essa;
  • si potrebbe pensare che il corretto metodo per redigere una Flora consistesse nel copiare quanto vi è di giusto nelle Flore precedenti e cambiare solo le parti sbagliate: in questo modo si avrebbe un continuo miglioramento ed alla fine si potrebbe arrivare ad una Flora perfetta, ma non disponendo di una verità di riferimento questo è impossibile;
  • non ci sono Flore più o meno giuste, ma solo Flore più o meno adatte a risolvere i problemi scientifici del tempo;
  • il giudizio sulla validità di una specie non ha mai carattere assoluto: le specie di Jordan risultavano incomprensibili agli studiosi suoi contemporanei, ma con i nuovi metodi di ricerca vengono spesso rivalutate;
  • questa Flora non pretende di essere più giusta delle precedenti, ma si sforza solo di corrispondere meglio alle attuali esigenze della ricerca.

In ogni caso credo sarebbe erroneo considerare questa Flora soltanto come il risultato di un processo storico avviato da Bertoloni o addirittura da Linneo e proseguito fino ai giorni nostri. In realtà il lavoro creativo ha sempre svolgimento individuale ed impegna tutta la personalità dell'autore. Nel caso di una Flora ciò significa che Fautore deve cercare di essere un interprete fedele di quell'ordine superiore, che l'uomo incontra studiando la Natura.

In conclusione, scrivere una Flora è un affare piuttosto noioso: c'è da svolgere molto lavoro monotono, mentre la parte creativa è relativamente ristretta, ed oltre a tutto concentrata su punti (quelli sui quali si devono dare giudizi critici), che non è sempre possibile approfondire a livello monografico e che quindi lasciano sempre un po' insoddisfatto chi scrive. È raro provare l'ebbrezza della navigazione in acque sconosciute. Inoltre, mentre scrivo, sono conscio del fatto che esistono alcuni studiosi, che in questo momento conoscono l'argomento meglio di me: per l'uno o l'altro motivò nessuno di essi ha avuto la possibilità di mettersi a scrivere una Flora d'Italia, comunque mi è stato possibile ottenerne la collaborazione nel Comitato Editoriale, il che è già qualcosa. Scrivere una Flora dunque non è un compito ambito. Se ho ritenuto che meritasse dedicare a questo lavoro una parte così importante della mia attività e cinque anni di lavoro estremamente concentralo, è soprattutto perché penso che fosse ormai necessario mettere in mano a chi si occupa della fiora italiana un volume che riunisca moderna nomenclatura e moderno concetto di specie, e che possa servire di base per un approfondimento delle ricerche di sistematica, floristica e geobotanica. Offro dunque il risultato della mia fatica con umiltà, come un punto di partenza e non come un punto d'arrivo.

* * *

Con queste premesse la stesura di questa Flora può venire schematizzata con una serie di operazioni.

Al primo posto sta sempre l'opinione degli Autori precedenti. L'idea che uno possa iniziare un lavoro come la redazione di una Flora da una condizione di tabula rasa è indubbiamente un'illusione. La tradizione in questo caso prende forme diverse: libri, esemplari di confronto conservati negli erbari, consigli dei colleghi più esperti. Grazie a questa tradizione è possibile riconoscere determinate specie e constatarne la validità (almeno relativa alle nostre capacità di osservazione). È importante però non lasciarsi troppo condizionare dalla tradizione.

Il riconoscimento di una specie in natura permette di passare al punto successivo, che è la descrizione della stessa. Secondo il procedimento classico questa descrizione viene effettuata tenendo conto del maggior numero possibile di casi (cioè di individui). Questo oggi si può fare egregiamente grazie all'ampia disponibilità di erbari e di orti botanici. In questo modo però il campo di variabilità dei singoli caratteri viene estremamente allargato e le descrizioni ne risultano spesso sbiadite. Più verosimilmente, spesso l'autore di una descrizione ha davanti a se oltre alle piante, alcune Flore di Autori precedenti, confronta le misure fornite da questi ed alla fine assume come buone le misure estreme, entro le quali tutte le altre restano comprese: il risultato è egualmente sbiadito. Il procedimento usato per questa Flora è del tutto diverso. Una parte importante del lavoro è stata eseguita in natura, mediante l'osservazione diretta di una popolazione naturale della specie. Circa 3000 specie sono state descritte in questo modo e nel testo vengono indicate col segno (!). di esse sono stati prelevati esemplari di campione, che sono conservati nell'erbario dell'Istituto Botanico di Trieste (TSB) contrassegnati con la sigla «Descr. Fl. Ital.».

Le misure fornite in questi casi spesso si scostano sensibilmente da quelle correnti, ma ci pare rappresentino una garanzia di maggiore ricchezza d'informazione. In definitiva, quanto abbiamo cercato di fare, è di offrire non tanto un'immagine astratta della specie, ma soprattutto dati reali ed immediati, come se fosse stato possibile accompagnare il testo con un piccolo campione d'erbario della specie.

Con l'osservazione diretta della natura ho cercato di ricollegarmi direttamente allo spirito di alcuni tra i migliori studiosi della flora italiana, come Strobl, Huter oppure Lacaita. Un esempio può essere istruttivo: Buglossoides Calabro (Ten.) Johnston (n. 2985). Bertoloni e sulla sua scia Arcangeli indicano il calice come maggiore della corolla, invece Huter (Herbarsludien. 192) constata che la corolla è maggiore del calice: la sua descrizione è identica a quanto io stesso ho verificato in natura, in tutte le misure riportate! Invece in Flora Europaea si hanno misure leggermente maggiori (anche se accettabili):

Corolla1517-2013-14
  Huter Herbarst. Fl. Europ. III:87 Pignatti osserv. orig.
Foglie mm. 6-9x20-30 up to 15-40 5-9x20-33
Lacinie calicine mm 0,75-1x5-6 6-7 6

È un fallo generale, che le misure da me riscontrate in natura sono quasi sempre inferiori a quelle delle Flore moderne. È probabile che qui intervenga un importante errore metodologico: gli esemplari conservati negli erbari sono per lo più quanto di meglio i raccoglitori potevano trovare, presentano quindi organi particolarmente ben sviluppati e le misure eseguite su questi materiali sono sistematicamente maggiori di quelle che si possono rilevare sulle popolazioni naturali.

Il metodo qui indicato porta a descrizioni fondate su caratteri quantitativi, il cui campo di variabilità viene indicato come più ristretto di quello possibile (il che è un difetto, controbilanciato tuttavia dal vantaggio di essere stato effettivamente osservato sul vivo). Nel caso sopra riportato possiamo ad esempio constatare che la reale variabilità della corolla si estende su tutto l'intervallo 13-20 mm (perché sembre scarsamente probabile che l'uno o l'altro degli Autori si sia sbagliato in una misura tanto elementare), quindi qualora indicassimo la corolla come lunga 13-20 mm, avremmo la massima probabilità che qualsiasi osservatore indipendente, ripetendo la misura, trovi un valore incluso fra questi estremi: il dato 13-20 ha dunque la massima probabilità di risultare soddisfacente. Scrivendo (come è fatto in questa Flora) 13-14. tale probabilità viene ridotta. Lo stesso ragionamento può essere applicato a qualsiasi altro carattere, che viene pure indicato in uno stato improbabile. E poiché ad una somma di elementi corrisponde un prodolto di probabilità correlate, ne consegue, che una descrizione redatta secondo questi principi risulterà in alto grado improbabile. I più elementari principi della teoria dell'informazione ci permettono però di ritenere che in questo modo si realizzi il massimo valore informazionale della descrizione stessa, sempreché (come è stato fatto) essa sia stata realizzata su un esempio realmente esistente. Attraverso la descrizione fedele di una popolazione appartenente ad una specie, l'immagine della specie viene messa in risalto nel modo meglio evidente: si evitano cioè le immagini sbiadite prima criticate.

Questo metodo presenta evidentemente il rischio, che un lettore, leggendo che Buglossoides calabra ha corolla di 13-14 mm e trovando un individuo con corolla poniamo di 19 mm. pensi di aver scoperto una nuova specie. Questo tuttavia non dovrebbe avvenire perché in primo luogo una specie non può esser fondata su una osservazione singola, ed inoltre la specie deve essere ancorala ad un concetto biologico di carattere globale.

Quando dunque un lettore constatasse 19 anziché 13-14, dovrebbe anzitutto cercare di rendersi conto del significato di questa differenza, e per far questo dovrà osservare un gran numero di piante, misurare in tutte queste il carattere e magari (se il problema non si chiarisce subito), misurare anche altri caratteri e cercare di correlarli al primo. Alla fine avrà descritto un bel campo di variabilità e si sarà reso conto, che tanto la pianta da me descritta, che quella da lui osservata ne fanno parte. Oppure avrà dimostrato il contrario, ed allora avrà veramente il diritto di parlare d'una nuova specie.

Si può aggiungere, che il concetto della specie non deve essere puramente morfologico, ma poggiare su una base biologica più generale. Una specie non si differenzia da un'altra solo per il diverso valore di un carattere quantitativo. Essa deve avere anche una diversa ecologia, diversa distribuzione, diverso «comportamento» nel complesso del mondo vegetale. Per questo si è mantenuta una distinzione a livello specifico tra Quercus petraea (Mattuschka) Liebl. e Q. pubescens Willd.. nonostante sia impossibile (almeno in Italia) distinguerle con certezza sul piano morfologico, esistendo tra le due chiare differenze ecologiche e fenologiche, che sottolineano la necessità di distinguere tra esse. Non ha senso dunque cavillare su uno o l'altro carattere, ma sarà necessario cercare ovunque possibile di giungere ad una immagine globale della specie. In questo caso l'uso del metodo fitosociologico porta ad esperienze di grande valore.

Penso si debba cercare di superare decisamente certo metodo speciografico in auge presso molti Autori dell'inizio del secolo, che usavano dividere il campo di variabilità delle specie in intervalli arbitrari, ai quali veniva dato il nome di varietà, forme, sottoforme etc. In questo peccarono spesso Rouy, Ascherson und Graebner. Burnat, Briquet (Autori per altri aspetti di grandi qualità) e tra i nostri soprattutto Béguinot, Bolzon e Io stesso Fiori; del resto anch'io, in qualche lavoro giovanile sul genere Limonium, ho probabilmente ecceduto in questo senso. Tale metodo consiste, ad cs., nel definire una forma major ed una forma nanus ogni volta che degli individui deviano dalla norma per essere troppo grandi o troppo piccoli, inoltre varietà o sottospecie locali, forme opime nei boschi e glabre nei luoghi umidi. Si raggiungono in questo modo delle classificazioni, che possono apparire eleganti come architettura, ma in realtà sono soltanto delle proiezioni dell'ordine mentale dell'autore sulla natura. Queste classificazioni sono deleterie, perché destano nel lettore la sensazione che tutto sia ormai noto ed ogni problema sia risolto: esse dunque tendono ad uccidere l'interesse verso un approfondimento della conoscenza. Per quanto riguarda la flora italiana invece, moltissimi problemi sono ancora aperti, e la forma problematica in cui molti argomenti vengono qui trattati dovrebbe chiaramente dimostrarlo.

Alcuni Autori (Fournier. Schinz und Keller. Rothmaler) hanno distinto in volumi separati delle loro Flore una parte analitica ed una parte critica, e questo modello inizialmente era parso praticabile anche nel caso nostro: tuttavia dopo qualche tentativo ho abbandonato quest'idea. Allora la presente Flora è analitica oppure critica? Credo si possa dire che è le due cose contemporaneamente. Fra i due concetti non esiste opposizione: il contrario di «analitico» è «sintetico», che non so cosa potrebbe voler dire nel caso di una Flora, d'altra parte nessun autore vorrà riconoscere di aver lavorato in maniera acritica. Questa Flora è dunque analitica corrispondendo al concetto di analisi esposto alla pag. 7, ma è anche critica, perché in molti casi conclude ponendo dei problemi, ma senza essere in grado di risolverli. È altamente augurabile, che l'esistenza di problemi aperti possa essere di stimolo a ulteriori ricerche.

NORME REDAZIONALI

Lo stile nel quale questa Flora è redatta deriva direttamente da quello usato per la Flora Europaea: sembra infatti evidente che il gruppo di specialisti, che ha progettato quell'opera, sia riuscito a trovare soluzioni singolarmente felici per quanto riguarda le chiavi analitiche e la trattazione delle specie, d'altra pane la mia esperienza di collaborazione al III volume di Flora Europaea mi ha insegnato quanto ben meditata essa sia in ogni particolare. Le chiavi analitiche sono dunque costruite secondo gli stessi principi, le descrizioni delle specie sono poco differenti Questo potrà forse dare l'impressione di un'imitazione, però basterà confrontare i due testi in qualsiasi punto per constatare che la presente Flora d'Italia è del tutto originale.

La materia è ordinata secondo il Syllabus der Pflanzen-familien (nella XII edizione curata da A. Melchior), quindi anche la sequenza delle famiglie e dei generi è quasi la stessa di Flora Europaea: anche quell'opera infatti è ordinata secondo il Syllabus. però con alcure differenze (Hvpericaceae, Caciaeeae, Hippuridaceae. Rubtaceae). Nell'ambito di ciascun genere le specie sono state ordinate pure secondo la sequenza di Flora Europaea. allo scopo di rendere più facili i confronti (anche se non sempre questo ordinamento sembrava felice), tranne alcuni casi (Oianthus, Ranuneulus, Vida). Va tenuto presente, che nel momento in cui terminiamo questa Flora, sono usciti solo i primi tre volumi di Flora Europaea, quindi i confronti con questa si applicano solo alle famiglie trattate in questi [Evcopodiaeeae-Glubuluria-ceae). mentre per le successive nessun confronto è stato possibile (¹).

Le famiglie sono correlate di una breve diagnosi con carattere differenziale; i generi no (perché questo avrebbe allungato eccessivamente il testo), salvo quelli della famiglia più grossa, le Compositeae per la quale le brevi diagnosi differenziali dei generi sono intese come un complemento alla difficilissima chiave analitica.

Le specie vengono riportale nella Flora secondo i criteri seguenti:

Componenti principali della flora d'Italia. Sono le specie contrassegnate con numero progressivo, ed il cui nome scientifico è stampato in grassetto, cioè solo le specie realmente indigene in Italia, quelle naturalizzate e pochissime tra le coltivate di maggiore importanza (cioè quelle che sono ormai parte integrante del nostro paesaggio vegetale). Naturalmente la distinzione è spesso alquanto soggettiva (soprattutto per quanto riguarda le coltivate); si tratta comunque di casi singoli (su oltre 5000 specie) quindi i dati complessivi non ne risultano sensibilmente alterati. In complesso queste specie costituiscono la fiora italiana nel suo senso più fedele; il totale delle specie riportate in questa Flora può dunque essere confrontalo con quello di territori vicini oppure con altre Flore italiane (come ad es. il Fiori, che tuttavia è un poco più largo nell'accettare specie coltivate); le imprecisioni causale dalle categorizzazioni sopra indicale sono del resto poca cosa rispetto alle naturali fluttuazioni delia fiora (comparsa di nuovi :ipi. estinzione di altri, migrazioni).

Nei gruppi critici si sono accettate facilmente nuove specie, anche se indicate per un'unica località, perché esse potrebbero in seguito rivelarsi frequenti. Invece solo con grande prudenza sono stale eliminate specie note in precedenza: Melampyrwn nemorosum sensu stricto viene oggi limitato alla specie centro- e nordeuropea con calice a peli allungati: probabilmente è da radiare, ma se è facile provare che una specie ci sia. è ben difficile provare il contrario.

(¹) Durante la pubblicazione di questa Flora, è comparso il IV volume comprendente le famiglie lino alle Composiiac, del quale si è potuto tener conto soltanto a «randi linee. Per quanto riguarda il volume delle Monaco-tyledoneae ho potuto prendere visione soltanto della numerazione delle specie (per le nostre codifiche) grazie alla gentilezza del prof. S. M. Walters (Cambridge).

Componenti secondari della Flora d'Italia. I nomi sono scritti in corsivo e contrassegnati dalla ripetizione del numero della specie immediatamente precedente, seguito da una lettera dell'alfabeto o numero romano. Esempi:

1018/b. Arabia nemorensis (Hoffmann) Koch - vengono indicate così le «specie dubbie», cioè:

  • stirpi il cui valore a livello specifico non è certo:
  • specie osservate anticamente, ma non ritrovate in tempi recenti e forse scomparse:
  • specie (generalmente avventizie) in vigorosa espansione nei paesi vicini a noi c che presto o tardi potremo trovare anche in Italia;
  • specie riconosciute solo recentemente in seguito allo smembramento di una specie presente anche in Italia e la cui presenza in Italia, benché verosimile, non è ancora provata;specie viventi a poca distanza dai confini del territorio studiato (Grenzartcn) nei territori elencati alla pag. 2.

2346/II. Cyclanthera pedata L. - vengono indicate così le specie coltivale di minore importanza e diffusione limitata.

La struttura generale seguita in questa Flora è la seguente:

Chiave generale delle famiglie.

Numero progressivo della famiglia - nome della famiglia - descrizione - Chiave analitica dei generi.

Numero progressivo del genere - nome del genere -Autore - nome italiano - codifica (in 4 cifre) del genere secondo Dalla Torre et Harms - Chiave delle specie.

Numero progressivo della specie - nome latino - sinonimi - nome italiano - codifica della specie - forma biologica -durata della vita e portamento - altezza - descrizione - ecologia - distribuzione in Italia - limiti attitudinali - fioritura -tipo corologico (distribuzione generale) - bibliografia (eventuale).

Eventualmente ancora: Sottospecie (con propria chiave analitica) - Variabilità - noie - osservazioni sistematiche -confusioni - usi.

Nelle pagine seguenti si cercherà di descrivere più in dettaglio il metodo seguilo ed i principi che hanno ispiralo la redazione delle singole voci.

Chiavi analitiche. Sono state costruite mediante l'uso, nei limiti del possibile, di caratteri evidenti e facilmente verificabili: non seguono, se non casualmente, la classificazione del gruppo analizzato. Spesso si è cercato di prevedere le più facili fonti d'errore e sono state inserite dicotomie supplementari (formalmente illogiche) per rimettere sulla strada giusta chi avesse commesso tale errore (ridondanza della chiave analitica).

Numero progressivo. Ha comportato un lavoro assai gravoso (si pensi alle noiose modifiche necessarie ogni volta che nel corso della redazione, un'entità è stata cambiata di rango oppure è stata aggiunta o depennata dalla flora d'Italia), che tuttavia è ritenuto utile, per la possibilità di ottenere immediatamente il numero delle specie riferibili a qualsiasi gruppo sistematico: questo rappresenta la base per confronti ed elaborazioni di carattere quantitativo. La numerazione ha esclusivo significato di ordinamento in serie sistematica: il fatto che per le specie considerate come «componenti secondari» sia ripetuto il numero di un'altra specie non significa in nessun modo che esista una parentela qualsiasi tra le due specie. Con criteri analoghi sono effettuate le numerazioni dei generi e delle famiglie.

Nome scientifico. È il binomio latino corrispondente alle regole del Codice Internazionale di Nomenclatura: nei casi dubbi si è data la preferenza al binomio usato in Flora Europaea fatta eccezione per qualche raro caso di specie il cui nome, ben noto fino ad ora, è stato proprio in quest'opera sostituito con un binomio sconosciuto o ambiguo. È questo il caso di Picea excelsa. Erica carnea e Gentiana kochiana che avrebbero dovuto venire chiamate rispettivamente Picea abies, Erica herbacea e Gentiana acaulis: non ho fatto queste eccezioni per spirito conservatore, ma solo perché non credo che l'applicazione delle regole di nomenclatura possa venire spinta ad un tale grado di formalismo.

Sinonimi. Viene riportata solo la sinonimia essenziale, costituita dai nomi di uso più frequente nella letteratura europea e nelle Flore locali italiane: il basonimo della specie è riportato solo se ancora più o meno in uso oppure se di particolare interesse storico. Quando un binomio riportato tra i sinonimi è preceduto dalla sigla «ind.», ciò sta a significare che la pianta così denominata viene inclusa tra i sinonimi di una determinata specie solo perché non esistono elementi per decidere, se essa sia realmente identica a questa oppure distinta. Qualche amico mi aveva suggerito di riportare anche per ogni specie il corrispondente nome (generalmente una combinazione trinomia) usato nel Fiori; questo non è stato fatto per diversi motivi: in molti casi l'identificazione di questo sinonimo è più o meno ipotetica e si potrebbe incorrere in errori, inoltre molte tra le combinazioni di Fiori non sono validamente pubblicate (quindi inesistenti dal punto di vista nomenclaturale) e non vai la pena perpetuarne l'uso. Piuttosto si è cercato ovunque possibile di riportare il basonimo delle combinazioni trinomie di Fiori: il lettore attento potrà cosi ricostruire facilmente quale varietà di Fiori corrisponda ad una determinata specie. Per quanto riguarda le varietà che Fiori contrassegna con la lettera a (generalm. indicate come typica oppure communis, genuina, vulgaris etc.) esse non sono riportate (salvo alcuni casi particolari), perché non più in accordo col codice di nomenclatura: esse corrispondono alla specie in senso stretto, escluse le eventuali entità riportate nella Variab.; quando si tratti di specie suddivise in più sottospecie, la var. typica corrisponde alla subsp. (a). Quest'ultima è — per definizione — la sottospecie che contiene l'esemplare typus della specie (però in parecchi casi si tratta di un'identificazione soltanto ipotetica). I sinonimi seguiti dalla dizione «nomen confusum» sono quelli usati frequentemente con significati diversi e pertanto divenuti una permanente fonte d'errore; i sinonimi seguiti da «nomen ambiguum» sono fondati su un typus eterogeneo (cioè un piego d'erbario contenente esemplari di due o più specie tra loro confuse).

Nomenclatura italiana. Ogni specie viene indicata, oltre che col binomio latino (l'unico scientificamente valido) anche con una denominazione italiana. Di questa in realtà non si sentiva particolare bisogno, perché la maggioranza dei nomi latini sono facilmente italianizzabili o addirittura derivati dall'italiano medioevale; d'altra parte però è sembrato utile togliere il monopolio della botanica a coloro «che sanno di latino». Una nomenclatura botanica scientificamente precisa esiste già per parecchie lingue europee, e non c'è ragione perché lo stesso non possa venire realizzato anche per la lingua italiana: del resto i forestali italiani si sono già da tempo abituati a usare nomi volgari per le più importanti specie arboree; piante interessanti per altri motivi (soprattutto per i problemi di conservazione della natura) vengono invece tuttora indicate soltanto con il nome latino, il che spesso rende più difficile il compito dei naturalisti o addirittura può limitare la credibilità di certe proposte. Finora per l'Italia esiste una eccellente tradizione linguistica fondata sulla Flora Popolare Italiana del Penzig in parte seguita anche da Fiori; per le piante più notevoli sono dunque conosciuti i nomi vernacoli, che tuttavia non forniscono una nomenclatura italiana praticabile, essendo per lo più di uso locale, spesso imprecisi come significato botanico e come grafia; dai nomi vernacoli del Penzig tuttavia sono stati spesso desunti i nomi usati in questa Flora. Anche Bertoloni ed in parte Gussone e Parlatore avevano proposto nomi italiani, che tuttavia non abbiamo voluto risuscitare essendo essi in gran parte ormai obsoleti, ed inoltre, a causa di successive introduzioni di nomi latini assonanti, spesso ambigui. Tra i più recenti solo Marchesetti, Zersi ed in parte Albo hanno tentato di fornire una nomenclatura italiana standardizzata per le Flore provinciali da loro redatte; inoltre un nome italiano (spesso erroneo) viene indicato nelle Flore medioeuropee di Ascherson und Graebner e di Hegi. Di tutti questi nomi precedenti si è tenuto conto solo saltuariamente, perché non avrebbe senso stabilire un principio di priorità anche per i nomi volgari (Dio ne scampi e liberi! Bastano i fastidi procurati dalle priorità dei nomi latini). La nomenclatura italiana qui proposta è del tipo binomio, sulla traccia della nomenclatura linneana. Il primo nome è il genere, per il quale si è cercato nei limiti del possibile di usare nomi preesistenti, della lingua scritta oppure dialettali, oppure (quando questi mancavano) si è proceduto ad una italianizzazione del nome latino. Di regola ogni genere porta un solo nome italiano (con alcune eccezioni per nomi il cui uso è particolarmente radicato, come Quercia - Leccio), invece può frequentemente accadere che parecchi generi più o meno simili abbiano lo stesso nome italiano, ma aggettivi differenti per le singole specie: quando l'italianizzazione dei nomi latini risultava troppo artificiosa (es. gen. 551: Coris) ci si è limitati a ripeterli: in questo caso viene indicata solo la lettera iniziale. Il secondo nome è proprio della specie: anche qui si è cercato di usare nomi preesistenti (scartando quelli incomprensibili, artificiosi o palesemente assurdi), altrimenti vengono proposti nomi nuovi, generalmente ottenuti mediante la traduzione dell'aggettivo specifico latino oppure sfruttando un carattere morfologico della specie, la sua distribuzione, etc. In molti casi questi nomi sembreranno strani e magari inutili, ma non avrei saputo risolvere altrimenti il problema. Sono stati lasciati senza nome italiano solo alcuni gruppi di specie ibride o apomittiche come nei gen. Rubus, Alchemilla, etc. accessibili solo allo specialista e di nessuna importanza agli effetti pratici. Spesso, nel dover inventare tanti nomi nuovi, mi è venuta nella memoria la sentenza platonica (Cratilo, I e segg.) che definisce il legislatore come colui che dà i nomi, ed ho provato un certo senso d'impaccio.

Codifica numerica. È stata studiata ed esperimentata come un contributo personale al Working group for data processing in phytosociology (code Trieste) e permette l'immediato trasferimento di qualsiasi dato floristico in un elaboratore elettronico. Il principio generale è l'uso di un numero di 4 cifre (derivato da Dalla Torre et Harms Index Generimi Phanerogamarum) per il genere e di tre ulteriori cifre per la specie: queste ultime sono il numero progressivo in Flora Europaea oppure un numero del tutto arbitrario. Per i particolari cfr. Pignatti S.. Vegetatio 33: 23-32 ( 1976). Ci si può augurare che la facile disponibilità di un numero di codice per ciascuna specie della nostra flora possa servire di stimolo alle ricerche fondate su elaborazioni delle informazioni floristiche.

Forma biologica. Per ogni specie viene indicata la forma biologica (comprensiva della sottoforma) secondo il sistema di Raunkiaer. Non è stato sempre possibile verificare questo dato in natura e spesso esso viene proposto solo sulla fede di Autori (non sempre tra loro concordi) o addirittura in base all'aspetto della pianta durante il periodo estivo: in qualche caso esso sarà dunque criticabile, anche perché la forma biologica di una specie non è sempre costante su tutto il territorio considerato da questa Flora. Anche queste forme biologiche possono essere codificate per elaborazioni automatiche.

Codifica
Sigla    
T caesp Terofite cespitose (Seteria viridis) 11
T rept Terofite reptanti (Stellarla media) 12
T scap Terofite scapose (Myosotis arvehsis) 13
T ros Terofite rosulate (Arnoseris minima) 14
T par Terofite parassite (Cuscuta) 15
He Elofite (Sparganium) 21
I rad Idrofile radicanti (Potamoseton) 31
I nat Idrofite natanti (Lemna, Salvinia) 32
G rad Geofite radicigemmaie (Cirsium arvense) 41
G bulb Geofite bulbose (Attium, Muscari) 42
G rhiz Geofite rizomatose (Drxopteris) 43
G par Geofile parassite (Cytinus) 44
H caesp Emicriptofile cespitose (Festuca ovina) 51
H rept Emicriptofite reptanti (Cynodon) 52
H scap Emicriptofite scapose (Trifolium pratense) 53
H ros Emicriptofite rosulate (Bellis perennis) 54
H bienn Emicripiofite bienni (Crepis biennis) 55
H scand Emicriptofile scandenti (Bryonia) 56
Ch suffr Camefite suffruticose (Fumana procumbens) 61
Ch scap Camefite scapose (Stellaria holostea) 62
Ch succ Camefite succulente (Sedum album) 63
Ch rept Camefite reptanti (Lycopodium elavatum) 64
Ch pulv Camefite pulvinate (Saxifraga caesia) 65
Ch thall Camefite tallofitiche (Muschi, Licheni) 66
Ch frut Camefite fruticose (Astragalus nebrodensis) 67
NP Nano-Fanerofite (Osiris alba) 71
P caesp Fanerofite cespugliose (Corylus avellana) 71
T scap Fanerofite arboree (Picea excelsa) 72
T lian Fanerofite lianose (Clematis vitalba) 74
P succ Fanerofite succulente (Opuntia) 75
P ep Fanerofite epifite (Viscum) 76
P rept Fanerofite striscianti (Pinus mugo) 77

La forma biologica sintetizza l'informazione relativa al portamento della pianta ed agli adattamenti di cui questa dispone per superare la stagione avversa. Un sistema più rudimentale, ma semplice e di immediata comprensione è quello classico, mediante l'impiego dei simboli ☉, ⚇, ↓, ⏉, ☨. La corrispondenza tra i due però non è sempre completa, particolarmente per quanto riguarda le categorie seguenti:

  • H - sempre ↓
  • Ch suffr - talora ↓, più spesso ⏉
  • Ch frut - generalmente ⏉ NP
  • NP sempre ⏉
  • P caesp sempre ⏉

nel caso critico delle Ch suffr decide soprattutto la consistenza della pianta, cioè se essa in linguaggio familiare può esser detta «erba» (es. Dianthus), ovvero «cespuglio in miniatura» (es. Drypis).

Durata della vita e portamento. Cfr. quanto scritto nel paragrafo prec.

Altezza. Viene data generalmente l'altezza della pianta per individui normalmente sviluppati, escluso il sistema radicale. Quando si tratta di piante prostrate, acauli, natanti o comunque nei casi ambigui (es. Carlina acaulis) le misure sono riferite alla grandezza media d'un esemplare d'erbario, indipendentemente dalla reale lunghezza del fusto. Il segno (!), che a volte segue l'indicazione dell'altezza serve a contrassegnare le specie descritte dal vivo (cfr. pag. 10).

Descrizione. Si è cercato di conciliare il massimo di concisione con l'indicazione del maggior numero possibile di caratteri, un compito difficile e certo non sempre riuscito nel modo migliore. Le dimensioni sono quelle di organi in condizioni ottimali in individui normali della specie: quindi scrivendo per Crepis paludosa «capolini ad involucro di 5x 10 mm» non si esclude che su piante del tutto normali possano esserci anche capolini più piccoli, perché incompletamente sviluppati. Le misure riportate sono sempre lunghezze (minima e massima): quando si forniscono misure tra loro correlate (es. 2x7), la prima è sempre la larghezza, la seconda è la lunghezza; quando il primo valore è maggiore del secondo (es. 7x2) vuol dire che l'oggetto considerato è più largo che lungo. I caratteri usati come discriminanti nelle chiavi analitiche non vengono ripetuti nelle descrizioni delle specie in generi relativamente piccoli (fino ad una diecina di specie circa), per i quali si può presumere che la chiave analitica e la descrizione siano sulla medesima pagina o in pagine contigue, sono invece ripresi (anche se con qualche eccezione) nei generi più ricchi di specie. Le descrizioni ottenute da popolazioni naturali crescenti su territorio italiano sono contrassegnate con (!); alcune di queste popolazioni crescevano anche al di fuori del confine politico d'Italia (per es. nel Tirolo Orientale presso Lienz, oppure nel Carso sloveno attorno a Trieste), ma in condizioni di continuità distributiva e di incontrastato scambio genico con le popolazioni corrispondenti del territorio italiano. Per le altre specie le descrizioni sono state redatte in base a materiali d'erbario, fonti bibliografiche etc; per abbreviare il testo alcune specie vengono individuate solo con i caratteri che le distinguono da un'altra, completamente descritta: in questi casi si usa la formula «Simile a XX, ma...», la quale sta a significare che la descrizione è identica a quella di XX, salvo per i caratteri espressamente indicati come diversi: XX in questo caso è la pianta che serve di referenza, il che non vuole significare che essa sia anche effettivamente simile come aspetto esterno.

Figure. Secondo il piano originale questa Flora doveva essere corredata solamente dagli schemi di distribuzione e da un numero ridotto di figure di dettaglio. È merito dell'Editore Perdisa di avermi dato la possibilità di renderla completamente illustrata, grazie anche all'utilizzazione delle figure della Flora Italiana Illustrata del Fiori.

Si è fatto uso di figure di due tipi: illustrazioni generali dell'aspetto di tutta la pianta e particolari di dettaglio. Le prime sono in gran parte una riproduzione di quelle del Fiori, che pur senza essere di grande qualità, in generale risultano assai efficaci: esse sono dovute ai disegnatori P. Brombin ed E. Baroni, entrambi di Padova. Su questi due si sa ben poco: essi sono nominati solamente nella prima edizione dell'Iconographia (1895-1899 come data in copertina, però in una nota del 1904), nelle successive il loro nome scompare del tutto; però già nella stessa prima edizione molte figure sono siglate con V. T. oppure M. T. B.. per motivi che non sapremmo spiegare. Il Brombin non è note in alcun modo come botanico, il Baroni, invece risulta omonimo di Eugenio Baroni, Autore di un Supplemento alla Flora Toscana di Carnei e di una nota Flora scolastica, ma è inverosimile si tratti della stessa persona in quanto Eugenio Baroni ai primi del secolo era assistente all'Orto Botanico di Firenze e libero docente, non poteva dunque contemporaneamente trovarsi a Padova come disegnatore. Sembra dunque che i due disegnatori non fossero particolarmente esperti di Botanica ed in effetti le figure risultano in massima parte copie da opere precedenti (soprattutto Reichenbach, ma anche Moris. Gussone, Tenore, etc). Alcune centinaia di figure del Fiori hanno dovuto essere eliminate e sono state sostituite sia da riproduzioni (ottenute direttamente per via fotografica) di illustrazioni classiche, sia da disegni originali. Queste figure rappresentano un completamento essenziale alla descrizione della pianta: grazie alla collaborazione dei tecnici della Casa Editrice Edagricole è stato possibile realizzare una fusione completa tra testo ed illustrazione. Delle figure di dettaglio si è fatto largo uso, nei casi in cui diverse specie risultano press'a poco simili come aspetto generale, in modo da mettere in evidenza i particolari distintivi. Esse rappresentano un completamento soprattutto per le chiavi analitiche. Quasi tutte le figure di dettaglio sono originali (salvo qualche caso riprodotto da pubblicazioni specialistiche con il permesso dell'Autore): esse sono state preparate in base a disegni eseguiti dal vero da mia moglie oppure mediante bozzetti da noi ricavati su piante vive o secche e quindi disegnati sotto il nostro diretto controllo dalla sig.na Sonia Bardella (con la collaborazione di M. Codogno per le Leguminose e di R. Pianella per le Composite), che. grazie anche alla sua preparazione specifica, ha mostrato una particolare sensibilità per questo tipo di lavoro.

Ordine localita

Ecologia e distribuzione in Italia. Vengono indicate in maniera succinta, salvo riprendere con maggiore sviluppo i casi più interessanti in nota o nelle discussioni sulla variabilità. In generale si è seguito l'ordine seguente: Alpi (dalle Orientali alle Occidentali), Appennino (da Nord a Sud), Sicilia, Sardegna, Corsica. Isole Minori. Specie indicate come presenti «in tutto il terr.» sono molto diffuse e note per tutte le regioni italiane. All'area di distribuzione viene fatta seguire una sigla (C = comune; R = raro: RR = rarissimo) che dà un'idea della frequenza della specie, ovviamente interpretata in maniera soggettiva: una specie può essere indicata come rara nel complesso del territorio nazionale, il che non esclude che essa sia magari comunissima in una particolare provincia o zona ristretta. L'indicazione «C, ma localizz.» viene impiegata per specie strettamente vincolate ad un determinato tipo di ambiente, nel quale sono comuni, ma al di fuori di questo del tutto assenti: molte alofite vengono così designate. Quando è scritto «segnalata» oppure «indicata», si tratta di indicazioni degne di fede, ma non confermate di recente oppure che non si è potuto verificare e che quindi vanno accettate con beneficio d'inventario. Le abbreviazioni di nomi geografici sono mantenute nei limiti dell'ovvio e non dovrebbero suscitare dubbi di interpretazione. Si tengano presenti alcuni usi particolari: Pad. ( = Padania) indica tutta l'area pianeggiante dell'Italia Sett., da Torino all'Isonzo ed a Rimini, quindi anche lontano dal Po; Pen. ( = Penisola) indica l'Italia Centrale e Meridionale, verso Nord di regola fino alla linea Rimini — crinale appenninico — Val di Magra, cioè la zona peninsulare in senso strettamente geografico (Fiori invece estendeva questa zona molto più verso il Nord, fino a comprendere il versante meridionale delle Alpi); App. ( = Appennino) indica tutto il sistema montuoso della Penisola, dalla Liguria all'Aspromonte, non soltanto la catena principale (come si intende spesso nel linguaggio comune), ma anche i rilievi periferici, come ad es. l'Armata, i monti di Castellammare (M. Lattari) o l'Alburno (però le Alpi Apuane ed il Gargano sono indicati separatamente, quando si tratta di segnalazioni rilevanti dal punto di vista fitogeografico).

Limiti altitudinali. Si riportano di regola gli estremi risultanti dalla letteratura, salvo casi eccezionali come le sopraelevazioni della flora advena lungo le strade alpine; solo in qualche caso è stato possibile distinguere tra i limiti altimetrici normali e quelli eccezionali. Questi limiti vanno comunque presi cum grano salis, perché le possibilità di generalizzazione, in un territorio che comprende la Calabria e la Sicilia, sono ovviamente limitate. Con la sigla «lit.» si indicano le specie che vivono lungo i litorali, quindi più o meno attorno al livello medio del mare. In generale i limiti altimetrici vengono arrotondati al centinaio di metri immediatamente superiore. Per le specie rare si forniscono i limiti, entro i quali è verosimile poterle trovare.

Fioritura. Si indicano i mesi (secondo il loro numero d'ordine espresso in cifra romana) durante i quali avviene normalmente la fioritura; una certa sfasatura da Sud a Nord esiste nella maggioranza dei casi.

Tipo corologico. È definito dalla distribuzione attuale delle specie (prescindendo dall'elemento genetico); non vale la pena illustrare i singoli tipi qui usati, perché essi non sono originali e corrispondono ad una classificazione piuttosto grossolana. Si era tentato di applicare i tipi, ben più affinati, proposti da Meusel, ma questo avrebbe lasciate scoperte un gran numero di specie, che questo Autore non ha preso in considerazione. Per ulteriori notizie si rimanda alla nostra trattazione in Cappelletti, Trattato di Botanica (Fitogeografia). Le abbreviazioni usate vengono riportate qui sotto, premettendo un numero di codice che può venire impiegato come codifica ad hoc in lavori riguardanti la corologia della flora mediterranea e sudeuropea.

1 Endem. - specie esistenti soliamo nell'ambito del territorio descritto.

1 Subendem. - specie con areale estendeniesi principalmente sul territorio italiano, ma sconfinante su zone ridotte nei Paesi vicini.

2 Stenomedit. - specie con areale limitato alle coste mediterranee (zone con periodo secco estivo, area dell'Olivo); si distinguono alcune sottodivisioni:

21 Stenomedit. - in senso lato, da Gibilterra al Mar Nero;

22 Stenomedit.-Settentrionali - coste meridionali dell'Europa dalla Spagna alla Grecia;

23 Stenomedit.-Orientali - bacino orientale del Mediterraneo dalla Balcania alla Turchia ed Egitto;

24 Stenomedit.-Meridionali - coste settentrionali dell'Africa dal Marocco all'Egitto;

25 Stenomedit.-Occidentali - bacino occidentale del Mediterraneo dalla Liguria alla Spagna ed Algeria;

26 Stenomedit.-Nordoccidentali - dalla Liguria alla Spagna;

27 Stenomedit.-Sudoccidentali - dal Marocco alla Tunisia e Sicilia;

28 Stenomedit.-Nordorientali - dalla Balcania alla Turchia;

29 Stenomedit.-Sudorientali - dalla Cirenaica all'Egitto e Siria.

3 Eurimedit. - specie con areale centrato sulle coste mediterranee, ma prolungantesi verso nord e verso est (area della Vite). Si distinguono le sottodivisioni 31-39 secondo lo stesso schema delle 21-29.

4 Medit.-Mont. - Come 2 oppure 3, limitatamente alle specie montane; anche in questo caso si possono distinguere le sottodivisioni 41-49 secondo lo schema delle 21-29.

5 Eurasiat. - specie del continente eurasiatico, con le seguenti sottodivisioni:

51 Paleotemp. - eurasiatiche in senso lato, che ricompaiono anche nel Nordafrica;

52 Eurasiat. - eurasiatiche in senso stretto, dall'Europa al Giappone;

53 Sudeurop.-Sudsiber. - zone calde dell'Europa e fascia arida della Siberia meridionale: si tratta generalmente di elementi steppici: se l'areale gravita attorno al Mar Nero vengono dette pontiche;

54 Europeo-Caucas. - Europa e Caucaso;

55 Europee - areale europeo;

56 Centroeurop. - Europa temperata dalia Francia all'Ucraina;

57 N-Europ. - Europa settentrionale;

58 SE-Europ. - soprattutto nella regione Carpatico-Danubiana.

6 Atlant. - specie con areale cenuato sulle coste atlantiche d'Europa. Si distinguono le seguenti sottodivisioni:

61 W-Europ. - Europa occidentale dalla Scandinavia alla Pen. Iberica;

62 Subatl. - Europa occidentale ed anche più ad oriente nelle zone a clima suboceanico;

63 Medit.-Atl. (Steno) - coste atiantiche e mediterranee;

64 Anfi-Atl. - sui due lati dell'Atlantico (Nordamerica ed Europa);

65 Medit.-Atl. (Euri.) - come 63, ma penetra maggiormente nell'entroterra.

7 Orof. S-Europ. - specie montane ed alpine dei rilievi dell'Europa meridionale, con le seguenti sottodivisioni:

71 Su tutta l'area dalla Penisola Iberica ai Balcani ed eventualm. Caucaso o Anatolia;

72 Orof. SE-Europ. - areale gravitante verso SE (cioè principalm. Balcani, manca sui Pirenei);

73 Orof. SW-Europ. - areale gravitante verso SW (cioè principalm. Pen. Iberica, talora anche massiccio centrale, raro o mancante sui Balcani);

74 Endemiche Alpiche - distribuite su tutta la catena alpina quindi in ampie zone (versante settentrionale e occidentale) al di fuori del territorio considerato;

75 Orof.-Europ. - distribuite sulle montagne europee, ma con prevalenza per le catene meridionali;

76 Orof.-Centroeurop. - Alpi, Giura, Carpazi e talora anche catene più meridionali.

8 Specie boreali o comunque nordiche con diverse sottodivisioni:

81 Circumbor. - zone fredde e temperato-fredde dell'Europa, Asia e Nordamerica;

82 Eurosiber. - zone fredde e temperato-fredde dell'Eurasia;

83 (Circum.) Artico-Alpine - zone artiche dell'Eurasia e Nordamerica ed alte montagne della fascia temperata;

84 Artico-Alp. (Eurasiat.) - zone artiche dell'Eurasia e alte montagne della fascia temperata;

85 Artico-Alp. (Europ.) - Europa artica. Alpi ed altre montagne S-Europee;

86 Artico-Alp. (Euro-Amer.) - Scandinavia, Nordamerica ed alte montagne delle zone temperate.

9 Gruppi ad ampia distribuzione:

91 Pantrop. - in tutta la fascia tropicale dell'Eurasia. Africa ed America;

92 Saharo-Sind. - zone desertiche dall'Africa Sett. all'India;

93 Medit.-Turan. - zone desertiche e subdesertiche dal bacino Mediterraneo all'Asia centrale;

94 Subcosmop. - in quasi tutte le zone del mondo, ma con lacune importanti (es., manca in un continente o in una zona climatica);

95 Cosmop. - in tutte le zone del mondo, senza lacune importanti;

96 Paleotrop. - paesi della fascia tropicale nell'Africa ed Asia;

97 Subtrop. - paesi della fascia tropicale e temperato-calda;

98 Avv. - avventizie.

Bibliografia. Al termine di singole specie oppure all'inizio di generi e famiglie vengono riportate citazioni bibliografiche di lavori, che permettano, a chi ne abbia l'interesse, di tentare un approfondimento. Non si tratta di una bibliografia completa, ma delle citazioni di lavori recenti dai quali si può risalire alla letteratura specialistica, oppure anche di lavori antichi di particolare pregio, che sono senili di base per la mia trattazione.

Collaborazioni. Alcune parti della Flora sono state redatte da specialisti: anche per queste valgono le norme generali sopra esposte, però con qualche lieve modifica. È stato omesso il segno (!) perché è da presumere che Io specialista conosca direttamente tutte le specie da lui trattate c non abbia effettuato in questa occasione particolari controlli di popolazioni naturali. Le trattazioni di specialisti sono state rimaneggiate da me. per renderle omogenee col resto della Flora. In particolare i colleghi stranieri hanno fornito testi nella propria lingua madre, che io in seguito ho tradotto: eventuali improprietà di linguaggio sono dunque da imputare a me, e non si può escludere, che in qualche punto io possa anche aver travisato il pensiero dell'Autore.

Numeri cromosomici. Molte Flore recenti riportano, tra i caratteri delle specie, anche il numero cromosomico, per quanto è finora nolo: questo è utile in molti sensi, infatti una sistematica moderna delle piante non può prescindere da questo elemento, e d'altra parte l'indicazione dei numeri cromosomici rende evidenti le lacune ancora esistenti e serve di stimolo agli studiosi per indagini ulteriori. Nel caso della flora italiana tuttavia esistono delle condizioni obbiettive, che mi auguro transitorie, le quali mi hanno indotto a non riportare questo numero, se non in pochi casi e quasi sempre in sede di discussione della sistematica adottata per alcuni gruppi critici. Infatti in moltissimi casi i numeri cromosomici di specie della nostra flora ci sono noti per il momento solo attraverso determinazioni effettuate fuori d'Italia: per le piante delle Alpi questo può risultare di scarsa importanza (infatti nell'ambito di specie distribuite in maniera omogenea, come ad es. Festuca halleri Ali., la determinazione eseguita in un punto qualunque delle Alpi può venire estesa, almeno in prima approssimazione, a tutta la catena alpina), mentre per le piante con disgiunzione anche sull'Appennino, nella Penisola o nelle Isole questo può risultare erroneo o comunque avventato. Per Festuca violacea Gaudin ad es. è stato determinato, su materiale alpino, un certo numero cromosomico, generalmente si ammette (solo in base a considerazioni di ordine morfologico) che la stessa specie viva anche sull'Appennino, ma non è provato che quivi abbia lo stesso cariotipo, anzi in molti casi è proprio il contrario. In questo caso, indicare un numero cromosomico non ha alcuna utilità, perché dà l'impressione che la specie sia già studiata, mentre in realtà essa rappresenta un problema aperto. Pertanto, chi cerchi notizie sui numeri cromosomici di piante italiane dovrà rivolgersi alle opere specializzate, come Tischler (1950), Darlington and Wylie (1955), Love (1961) e Fedorov e Coli. (1969). Quando la redazione di questa Flora era già iniziata il Gruppo di Citotassonomia della Società Botanica Italiana ha cominciato la pubblicazione di schede citotassonomiche riguardanti le specie italiane, opera meritoria, che sperabilmente in poco tempo ci permetterà di completare le lacune maggiori e farà cadere le mie attuali perplessità sulla pubblicazione generalizzata dei numeri cromosomici in una Flora di carattere analitico.

DISTRIBUZIONE REGIONALE

Già il Fritsch, nella sua magistrale Exkursionsflora für Österreich aveva indicato le regioni dell'antica monarchia, per le quali una specie era nota; questo metodo è stato poi generalizzato in Flora Europaea mediante l'indicazione di tutti gli stati, nei quali una specie esiste. In entrambi i casi si tratta di suddivisioni politico-amministrative del territorio considerato. Volendo realizzare qualcosa di simile, anch'io mi sono posto il problema: sembra chiaro che la miglior suddivisione del territorio è in aree geografiche omogenee oppure secondo un reticolato «neutro» (per es. lungo i meridiani e paralleli), ma è d'altra parte certo che una suddivisione del genere può servire per ulteriori elaborazioni, solo se il livello dell'analisi floristica è in tutte le aree così distinte press'a poco paragonabile. Riferendoci all'Italia sono state prese in considerazione diverse possibilità (aree di ½ grado per ½ grado, province, regioni), ma i dati attualmente disponibili non permettono di scendere ad un dettaglio maggiore di quello della regione. Il territorio studiato è stato dunque diviso in 20 aree, tra loro paragonabili come superficie, ricchezza floristica e dettaglio dell'analisi floristica. Alla serie di sigle (usate dal Fritsch oppure in Flora Europaea), che sono impronunciabili e spesso di comprensione non intuitiva, è stata preferita la rappresentazione mediante punti su una cartina di minimo formato: in questo modo il lettore si renderà conto immediatamente della distribuzione italiana di una specie, anche se si tratta di un'immagine approssimata, perché non tiene conto della maggiore o minore frequenza nelle varie regioni. Ci rendiamo conto di quanto questa divisione sia rudimentale (cfr. per una discussione più dettagliata Pignatti e Sauli, Archivio Bot. e Biogeogr. Ital. 20, 3-4: 117-134, 1976), ma essa deve esser vista non come un traguardo ottimale, ma come un modesto progresso rispetto alle Flore precedenti. Le regioni sono in linea di principio le stesse dell'ordinamento amministrativo italiano più la Corsica; non è stato possibile tener conto della Val d'Aosta (perché la Flora di Vaccari è rimasta incompleta) né del Molise (separato dagli Abruzzi quando la Flora era già in avanzata redazione): le specie della Val d'Aosta si troveranno sotto il Piemonte, quelle del Molise sotto gli Abruzzi. Invece il territorio di Trieste è stato separato dal Friuli e Camia, essendo molto differenziato floristicamente.

L'indicazione della distribuzione regionale è stata agevole solo per quelle regioni che dispongono di una flora unitaria sufficientemente moderna (Triestino, Friuli, Trentino-Alto Adige, Liguria, Toscana, Umbria, Basilicata, Sicilia. Corsica), mentre negli altri casi è risultata spesso problematica. Certe specie sono indicate per zone di confine ed è spesso impossibile capire in quale regione esse effettivamente crescano. Rhaponticum scariosum Lam. ad es. è segnalato dal Vitman per il Corno alle Scale; questa segnalazione è ripresa da Caruel per la flora della Toscana, però anche da Cocconi per la flora bolognese e da Gibelli e Pirotta per il Modenese. In effetti il Corno alle Scale è proprio all'incrocio fra le tre province di Modena, Bologna e Pistoia: ecco che con una sola raccolta possiamo segnare la specie come indigena in 3 province appartenenti a 2 regioni (o addirittura 3 regioni, se si considerasse la differenza tra Emilia e Romagna, che è stata trascurata). In realtà poi si tratta di una segnalazione antica (secolo XVIII) non confermata di poi e forse erronea.

Casi analoghi si hanno sulle Alpi Marittime (tra Piemonte e Liguria) e sul Pollino (tra Basilicata e Calabria); inoltre la zona del M. Seltefrati era tradizionalmente inclusa nella Campania, ed ora è invece passata al Lazio, suscitando confusioni a non finire, nel Fiori e certo anche nella presente Flora: il caso è particolarmente spiacevole, in quanto nella Penisola molte specie boreali (ad es. Gentiana nìvaiis L.) hanno qui la loro stazione più meridionale.

Le piccole Isole che circondano l'Italia (spesso ricche di specie rare ed endemiche) hanno pure procuralo qualche problema. Fiori aveva riportato con notevole specificazione la presenza delle singole specie nelle piccole Isole: non ci è slato possibile imitarlo, perche questo avrebbe eccessivamente appesantito le descrizioni, anche perché nel periodo intercorso tra la pubblicazione del Fiori ed oggi, le conoscenze sulle fiorule delle piccole Isole sono grandemente aumentate. L'indicazione della presenza su piccole Isole nel testo è stata limitata ai soli casi di piante rare o endemiche, mentre in linea generale esse sono considerate parte della regione alla quale vengono riferite dal punto di vista amministrativo. Ad es., per Melilotus alba (1970) viene scritto «II. Sett. e Pen.», il che include pure ITs. di Ponza, in quanto questa fa parte di una regione della Penisola. In questo senso le Tremiti fanno parte della Puglia. l'Arcip. Toscano, della Toscana, le Is. Ponziane del Lazio, le Eolie, Egadi. Pantelleria. Pelagie e Maltesi della Sicilia, e così via. Nelle cartine distributive il segno circolare nero indicante la presenza è stato applicato sulle piccole Isole solamente quando la specie mancava nell'area principale della regione corrispondente: ad es.. Brassica insularis (1168) è indicata per Sardegna, Corsica e Pantelleria (benché quest'ultima venga normalmente inclusa nella Sicilia) in quanto essa non cresce in Sicilia. Nello stesso modo ci si è regolati per l'indicazione di specie presenti sui confini del nostro Paese (Nizzardo. Grigioni-Carinzia. Slovenia) oppure in località poco rappresentative della corrispondente regione (es., l'Appennino Pavese per la Lombardia).

Le specie coltivate per lo più non hanno cartina di distribuzione in quanto esse si presentano più o meno in tutto il territorio; solo in alcuni casi, quando la coltura risponde strettamente a fattori fitogeografici (es.: agrumi) anche la distribuzione delle piante coltivate è stata ripcrtata sulla cartina. Le specie indicale come bis per lo più sono prive di cartina e cosi pure quelle il cui areale resta da precisare.

Pure con tutte queste limitazioni, l'indicazione della distribuzione regionale può essere la base per elaborazioni ulteriori; pensiamo inoltre che esse costituiscano un aspetto quasi provocatorio per chi userà la Flora e potranno servire di stimolo ad approfondire la conoscenza floristica delle regioni meno note.

Limiti terriotriali

ELABORAZIONI CON COMPUTER

La Flora è stata redatta in previsione della possibilità di servire come base per ricerche mediante elaboratori automatici: di qui la codifica numerica per i generi e le specie (codifica secondo un sistema aperto, che può essere esteso in linea di principio all'intera flora mondiale). I dati sulle forme biologiche sono standardizzati e codificati, così pure i dati altimetrici possono venire immediatamente tradotti in codice numerico. Anche i dati ecologici e corologici sono sufficientemente unitari per poter venire tradotti (mediante sistemi ad hoc), però la loro confrontabilità è ristretta all'ambito della regione mediterranea e dell'Europa.

La numerazione progressiva delle famiglie, generi e specie può costituire un sistema ad hoc per elaborazioni riguardanti la sola flora italiana; nel caso delle specie questo presenta il vantaggio (rispetto alla codifica generale) di poter individuare ciascuna specie con un numero di 4 cifre anziché 7, con risparmio di tempo e minore possibilità di errori.

La presente Flora può dunque servire come base per elaborazioni di carattere informazionale (problema della diversità), per confronti tra dati floristici e soprattutto per elaborazioni su dati ecologici e fitosociologici.

RINGRAZIAMENTI

Un'opera della complessità di questa Flora è sempre il risultato della collaborazione tra molti: la sua realizzazione non sarebbe stata possibile, almeno in questa forma e nei tempi previsti senza collaborazioni ed aiuti, che mi sono giunti da ogni parte. Coloro che hanno dato la loro opera nel Comitato editoriale, come specialisti e come revisori regionali sono già stati ricordati nelle prime pagine. Qui vogliamo aggiungere ancora:

  • la sign. Fioretta Dusa, che ha curato la preparazione di un dattiloscritto di eccellente qualità, nonostante le difficoltà intrinseche del testo, ha collaborato con competenza e buon senso alla soluzione di mille problemi redazionali, ha svolto un compito prezioso ed insostituibile nel delicato lavoro di raccolta ed ordinamento delle informazioni, ed ha anche effettuato una vera e propria revisione di merito, mettendo spesso in evidenza incongruenze, contraddizioni e punti oscuri, che mi erano sfuggiti;
  • la signora M. L. Pizzuhn-Sauli. per il lavoro di assistenza della definizione delle codifiche ed il trasferimento delle informazioni floristiche su schede perforate;
  • coloro che mi hanno aiutato nella preparazione dello schedario floristico e cioè in particolare C. Fraglia. G. Mortin, G. Sauli, G. Carli, E. Piscianz;
  • i tecnici di numerosi erbari, che mi hanno spesso aiutato nella ricerca di materiali critici o interessanti ed in particolare i sigg. C. Ricceri (Firenze), S. Chiesa (Padova), A. Cacciato e Rosati (Roma), C. Andrei (Trieste) ed ancora il collega C. Steinberg, curatore dell'Erbario Centrale di Firenze ed il prof. R. Mezzena, Direttore del Museo di Storia Naturale di Trieste;
  • i colleghi B. Anzalone, F. Corbetta, L. Chiappella Feoli, G. Montelucci, L. Poldini ed altri per aver messo a disposizione notizie floristiche inedite;
  • altri, che in vario modo mi hanno assistito mediante consigli, pareri o aiuti di vario genere, e cioè: G. Abbà (Chieri), N. Arietti (Brescia), P. Auquier (Liegi), G. Bono (Varallo Sesia), R. Chiosi (S. Giovanni Valdarno), S. Filipello (Pavia), H. P. Fuchs (Trin-Vitg). S. Gentile (Genova), W. Greuter (Ginevra), H. t'Hart (Utrecht), E. Landolt (Zurigo), E. Mayer (Lubiana), F. K. Meyer (Jena), F. Montac-chini (Torino), E. Nardi (Firenze). A. Pedersen (Copenhagen), A. Pirola (Bologna), F. Raimondo (Palermo), T. G. Tutin (Leicester), H. E. Weber (Osnabrück), B. Widén (Lund), T. Wraber (Lubiana) ed altri.

Trieste, dicembre 1974

BIBLIOGRAFIA

Una bibliografia completa delle opere consultate per la redazione di questa Flora e rilevanti come fonti per la Flora Italiana comporterebbe un elenco di molte migliaia di titoli, non compatibile con le dimensioni di questo volume. Qui sotto pertanto saranno indicate soltanto le Flore italiane precedenti, le Flore regionali e provinciali (limitatamente a quelle pubblicate dopo l'opera del Bertoloni [1833-1854] e comunque per un singolo territorio sarà indicata soltanto l'opera più recente, dalla quale si potrà risalire alle precedenti). Verranno inoltre riportate alcune Flore locali di particolare importanza, perché trattano territori poco conosciuti, oppure perché ricche di note critiche. Solo per le Isole circostanti la Sicilia è stato aggiunto un elenco delle Flore finora pubblicate per ciascuna di queste, in quanto si tratta in massima parte di opere recenti.

Per una informazione più completa si rimanda a Saccardo P. A., La Botanica in Italia, pubblicata in varie riprese, nelle Memorie dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, XXV e seguenti (1895-1909), recentemente ristampata in volume unico (Bologna, 1971 ): al Bullettino Bibliografico della Botanica Italiana stampato a cura della Società Botanica Italiana, che abbraccia il periodo 1890-1951; alle contribuzioni di R.E.G. Pichi Sermolli in Webbia 18: 319-345 e come Report per il Comitato di Flora Europea, distribuito mimeografato nel 1972 (in collaborazione con G. Moggi).

La bibliografia specialistica viene citata ovunque possibile nella trattazione delle singole famiglie, generi e specie. Alcuni lavori di particolare importanza per la Flora Italiana, che hanno il carattere di miscellanea di note critiche (e che come tali non possono rientrare né tra le Flore né tra la bibliografia specialistica) sono: Huter R., Herbar-Studien (in numerose puntate sull'Österr. Bot. Z. 1903-1908); Lacaita C. Piante italiane critiche o rare (numerose contribuzioni in Bull. Soc. Bot. Ital. e N. Giorn. Bot. Ital. tra il 1910 ed il 1927); Fiori A., Béguinot A., Pampanini R., Schedaead Floram ìtalicam Exsiccatam cent. I-XXX, 3 voli. I, Firenze (1905-1908) 461 pagg.; IT, Firenze (1909-1914) 511 pagg.; Ili, Padova. Sancasciano. Messina. Forlì (1914-1927) 436 pagg.

La stesura di questa Flora ha reso necessari numerosi aggiornamenti tassonomici e nomenclaturali, che sarà opportuno citare qui (benché non si tratti certo di contributi d'importanza paragonabile a quella delle opere più sopra indicate): Pignatti S.. Note critiche sulla flora d'Italia I. (Giorn. Bot. Ital., 107: 207-221, 1973). id. IL (ibid. 108: 95-104, 1974), id. III. (Anal Inst. Bot. Cavatiilles 32: 203-220,1975), id. TV. (Giorn. Bot. Ital 110: 203-217, 1976). id. V.(ibid III: 45-61, 1977). un VI. ed ultimo contributo è in pubblicazione, sempre su Giornale Botanico Italiano. Parecchie specie nuove (Saxifraga etrusco, Phagnalon meilesicsii, Psoralea morisiana, Ptychotis sardoa) o di recente avventiziato sono state comunicate in pubblicazioni separate, indicate nel testo.

Una sintesi sulla flora esotica d'Italia è pubblicata da Viegi L.. Cela. Renzoni G. e Garbari F., Lavori Soc. It. Biogeogr. 4: 125-220 (1974): di essa si è potuto tener conto solo parzialmente essendo comparsa quando questa Flora era ormai in stampa.

Per i nomi dialettali delle piante italiane si consulti l'utilissima Flora Popolare Italiana di O. Penzig, Genova 2 voli. 1-541 pagg., 11-615 pagg. (1924), recentemente ristampata (Bologna, 1972).