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Taxa più rappresentati: Graminaceae Trifolium Euphorbia Silene

Sp. Brassica oleracea

Gp. Brassica oleracea

Gen. Brassica

Gp. I

Fam. Crucifereae
Div. coripetale superovarie a fg. alternate
Cla. Dicotiledoni
Descrizione delle piante selvatiche. F. alla base legnoso su 1-2 dm. Fg. basali lirato-pennatosette, crenate, lunghe fino a 3 dm; fg. cauline ± intere, lanceolate, semiamplessicauli. Racemo ricco, in piante ben sviluppate con 50-300 fi.; petali gialli, 15-20 mm; siliqua 2-3 X 40-80 mm; becco (5-) 10-15 mm.

Lig., Emilia, It. Centr.: RR; altrove coltiv.

Variab. - La subsp. oleracea ( = B. oleracea vaf. sylvestris L.) è endemica sulle coste atlantiche, dai Pirenei e dalla Normandia a Dover ed Helgoland: manca da noi allo stato spontaneo. È da noi invece spontanea la subsp. robertiana (Gay) Rouy et Fouc. (= B. montana Pourret), che ha distribuzione Etrusco-Ligure-Provenzale (dal Conerò a Cadaqués in Catalogna), con areale frammentato di carattere relittuale. Per l'Italia è nota dalle seguenti località isolate: Capo Noli, Spotorno, Savona, A. Apuane (Carrara, Serravezza, M. Cocchia, C. di Ravaccione, Gr. del Simi, etc.) ed App. Lucchese al M. Fegatese, Bologn. a Riva di Dardagna, S. Marino, M. Conerò ed Is. Ponziane. È segnalata per le Is. liguri di Gallinaria e Bergeggi e per le Is. Sirenuse nel Salernitano. Il cavolo coltivato deriva probabilm. da tutto il gruppo di specie Sp. Brassica macrocarpa-Sp. Brassica insularis e dall'affine B. eretica Lam., che non fa parte della nostra flora. La coltura si è sviluppata certo indipendentemente in molte parti del Mediterraneo all'inizio del periodo classico; i Greci non usavano il cavolo per alimento, i Romani invece conoscevano l'uso di cultivar sul tipo del Cavolo nero, ancora poco differenziate dai tipi selvatici. Un centro importante per l'origine della coltura è stata certamente la Gallia (anche la denominazione Brassica, già usata da Plinio e precedentemente da Catone e Plauto pare di derivazione celtica). Il Cavolo-rapa è nominato per la prima volta nel «Capitulare de villis» (795), i Cavoli-cappucci dalla Santa Hildegarda (XII secolo), il Cavolfiore da Tabernemontanus (1588). La coltura è consistita soprattutto nel fissare alcuni caratteri interpretabili come malformazioni o mostruosità ereditarie: ingrossamento del fusto, foglie arricciate o bollose o riunite in teste dense, infiorescenze abbreviate con fi. rudimentali, riduzione del ciclo vitale a piante bienni e persino annuali. Le forme coltivate sono oggi innumerevoli, spesso di valore puramente locale; sarebbe oggi impossibile ricostruire la specie selvatica dalla quale esse derivano. Risultando ± completamente incrociabili fra loro, possiamo ritenere che il complesso delle forme coltivate abbia subito una evoluzione accelerata, sotto l'influsso dell'azione umana, e formi ormai una specie biologica distinta, con un genotipo che rappresenta la somma dei genotipi delle specie selvatiche, però con vitalità ridotta ed incapace di mantenersi al di fuori della coltura. Le principali forme coltivate in Italia sono distinte in cultivar., riunite in convar. più comprensive:
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